Il caso dell'omicidio di Yara Gambirasio, che il procuratore generale di Brescia ha definito "sostanzialmente chiuso", ha scatenato una conseguente polemica sul ruolo e sul comportamento dei mass media di fronte a un arresto con presunzione d'innocenza, secondo Costituzione. Da più parti si è gridato allo scandalo.

I giornalisti sono stati definiti "sciacalli che pasteggiavano sul cadavere di Yara". Se per qualcuno sarebbe stato semplicemente opportuno ribadire che l'uomo arrestato è presunto colpevole (equivalente al concetto di presunzione d'innocenza), per qualcun altro sarebbe stato addirittura sbagliato pubblicarne il nome e/o la fotografia e/o altri dettagli personali.

Yara Gambirasio

Occorre quindi fare chiarezza su questo punto, sulla base del Codice deontologico della professione giornalistica.
Nel frattempo, il 19 giugno è intervenuto il Garante per la privacy, con una nota che chiarisce quale sia – a suo avviso – il confine tra il pubblicabile e l'impubblicabile a proposito della "tendenza (...) a diffondere informazioni e particolari – anche di natura sensibile e addirittura genetica – inerenti soggetti toccati soltanto indirettamente e marginalmente da vicende giudiziarie che hanno avuto una notevole eco nell'opinione pubblica".

È bene interpretare correttamente questa affermazione: il Garante si riferisce alla questione di chi siano i genitori naturali del catturato (che scopre ora di essere figlio naturale di un uomo diverso da quello che l'ha cresciuto), ma soprattutto alla situazione della madre del catturato, che dopo 44 anni si trova a dover giustificare una "scappatella" extraconiugale davanti al marito ignaro. Una coppia solo marginalmente toccata dalla vicenda (non c'entrano nulla con l'omicidio di Yara), mediaticamente messa di fronte a una verità che potrebbe recare danni alla vita "familiare e di relazione".

Risulta chiaro l'avvertimento del Garante: parlate del catturato ma non della madre o del padre. Non recatevi davanti a casa della madre per chiederle se davvero ha tradito suo marito. Non fate il giro del vicinato per chiedere la stessa domanda ai compaesani. Naturalmente l'avvertimento non vale se la donna concorda – insieme ai suoi avvocati – una intervista con il Corriere della Sera, pubblicata il 20 giugno.

L'essenzialità della notizia, però, impone di specificare che il catturato è – secondo il Dna – il figlio naturale di Giuseppe Guerinoni e non dell'uomo che l'ha cresciuto, perché le indagini genetiche, così importanti nel caso Yara, si sono sviluppate proprio su questa linea. L'equilibrio sta nell'evitare di accanirsi sulla madre.

È importante rilevare che il Garante si ferma qui. Nulla specifica riguardo le critiche, cui abbiamo accennato sopra, alla pubblicazione del nome del catturato, delle sue fotografie e di dettagli della sua vita privata. Il Garante non poteva che tacere su questo punto. Il codice deontologico, infatti, consente ai giornalisti italiani di pubblicare elementi riguardanti il catturato, sulla base dell'equilibrio tra il diritto alla privacy e il diritto di cronaca. Ciò che è opportuno fare, e che in questo caso non sempre è stato fatto, è premettere che una persona coinvolta in un fatto di cronaca può non essere necessariamente già stata giudicata colpevole di un reato dopo tre gradi di giudizio. Per essere considerati coinvolti in un fatto di cronaca è sufficiente essere stati individuati come colpevoli dagli inquirenti. Naturalmente con l'accortezza, in tal caso, da parte del cronista, di specificare la presunzione.

All'articolo 6, comma 1, si legge: "La divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti". Informazione, anche dettagliata. È possibile insomma descrivere il fatto (il delitto), le indagini e la qualificazione (per esempio genetica) di chi si presume che l'abbia commesso.

All'articolo 7, comma 1, si legge: "Al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione". È l'unico accenno del Codice deontologico riguardo la pubblicazione dei nomi. Ed è rivolto ai nomi dei minori. Questo significa che, in linea di massima, il nome di un maggiorenne coinvolto in fatti di cronaca è invece legittimamente pubblicabile.

All'articolo 8, comma 1, si legge: "Salva l'essenzialità dell'informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell'immagine". La fotografia lesiva della dignità della persona è pubblicabile solo se rispetta l'essenzialità dell'informazione, cioè se è parte integrante della notizia, del fatto. Nulla dice il Codice deontologico su fotografie non lesive della dignità della persona, ovvero in pose normali. Il che, con tutta evidenza, significa che quelle fotografie si potevano e si possono pubblicare senza dubbio.