La legge 40, da ieri, ha un altro divieto in meno: a decadere stavolta è il divieto di fecondazione eterologa, deciso all'articolo 4, comma 3. Assieme al divieto, è stata dichiarata ovviamente incostituzionale anche la sanzione pecuniaria (da 300mila a 600mila euro) per chi, "in violazione di quanto previsto dall'articolo 4, comma 3", intendeva utilizzare gameti estranei alla coppia.

eterologa

La sentenza arriva in seguito a tre diverse sollevazioni di questione di legittimità costituzionale da parte dei tribunali di Milano, Firenze e Catania. È dunque finito l'obbligo di emigrare all'estero per le coppie in cui uno o entrambi i partner sono sterili: entro trenta giorni sapremo anche le motivazioni con cui la Corte Costituzionale ha inteso sanare la violazione del diritto di queste coppie a poter costituire una famiglia.

Con nove anni di ritardo, il quarto dei quattro referendum del 2005 è stato finalmente "vinto": infatti, la sentenza di ieri ricalca al 99,9% il quesito presentato all'epoca dai radicali. Esultano le associazioni e i ricercatori che, in questi anni, hanno dato battaglia nelle aule di tribunale per poter smantellare una delle leggi più restrittive al mondo in materia di procreazione medicalmente assistita.

Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, tuttavia, spegne gli entusiasmi: "l'introduzione della fecondazione eterologa nel nostro ordinamento è un evento complesso, che difficilmente potrà essere attuato solo mediante decreti", anche perché "ci sono alcuni aspetti estremamente delicati che non coinvolgono solamente la procedura medica, ma anche problematiche più ampie, come ad esempio l'anonimato o meno di chi cede i propri gameti alla coppia e il diritto d chi nasce da queste procedure a conoscere le proprie origini e la rete parentale come fratelli e sorelle".

Fortunatamente, alcune di queste risposte sono già contenute all'articolo 9 della legge, che prevede l'impossibilità di disconoscere il bambino per i genitori che si avvalgono della procreazione medicalmente assistita (comma 1) e la non insorgenza di un rapporto di parentela fra il nascituro e il donatore di gameti (comma 3). Entrambi gli aspetti, con una certa "lungimiranza", sono stati tra l'altro previsti nonostante fosse fatto divieto di ricorrere all'eterologa.

Ancora una volta, la legge che avrebbe dovuto porre fine al "far west procrativo" mostra i propri limiti, o meglio i limiti di un legislatore che, nell’atto di assecondare richieste evidentemente provenienti dall’esterno del perimetro parlamentare, ha scelto di infarcire il testo di divieti stupidi e scritti male. Divieti che non hanno fermato, anzi, hanno incentivato molte coppie portatrici di malattie geneticamente trasmissibili a ricorrere al cosiddetto "turismo procreativo", ossia a recarsi all’estero per poter praticare la fecondazione artificiale, oppure ancora a ricorrere alle vie giudiziarie.

Negli anni scorsi, ad essere abrogati furono il limite di tre embrioni da impiantare tutti contemporaneamente (sentenza n. 151 del 2009 della Corte Costituzionale, già nel mirino del secondo referendum radicale) e il divieto di diagnosi pre-impianto (rimosso per le sole coppie infertili dal Tar del Lazio nel 2008). A questi, lo scorso anno si aggiunge la sentenza di condanna della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sul caso dei coniugi Costa-Pavan, a cui fu negata la diagnosi pre-impianto nonostante fossero entrambi portatori sani di fibrosi cistica.

Proprio il divieto di diagnosi pre-impianto per le coppie fertili, ma portatrici di malattie ereditarie, potrebbe essere il prossimo divieto a saltare: è infatti in attesa di essere vagliata dalla Consulta una questione di legittimità costituzionale da parte del Tribunale di Roma. Tuttavia, restano ancora vari punti della legge che possono essere rivisti o eliminati, come il divieto di sperimentazione scientifica sugli embrioni (art. 13), il divieto di crioconservazione degli embrioni (art. 14), l'obbligo di aspettare sette giorni fra "la manifestazione della volontà e l'applicazione della tecnica" (art. 6, comma 3) o anche l'istituzione del registro "dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche medesime" (art. 11, comma 1).

Siccome sono passati nove anni e siccome le cause giudiziarie costano (ai privati, ma soprattutto allo Stato), è necessario che il Parlamento prenda l'iniziativa per riscrivere la normativa sull'accesso alla procreazione medicalmente assistita. Stavolta, però, è auspicabile che l’approccio al tema sia finalmente incentrato sulla tutela della salute della donna e del feto, anziché dell’embrione: permettere la diagnosi pre-impianto per dare la possibilità, a chi è sieropositivo o portatore di una malattia geneticamente trasmissibile, di non trasmetterla ai propri figli e garantire la libertà di ricerca scientifica, finora negata dall’oscurantismo bioetico dai “teo-con” (di destra, ma non solo). Insomma, il Parlamento cambi musica e recuperi la sua dignità, per una volta.