A differenza di quanto si pensi, per molti detenuti in Italia il fine pena è mai. Non per cattiva condotta, ma perché per i reati più gravi - mafia, terrorismo, traffico di droga... - la liberazione condizionale è possibile solo se collaborano in modo rilevante con la giustizia. Anche il nuovo disegno di legge sulla 'effettività rieducativa della pena' lascia inalterata una disciplina che contrasta apertamente con la Convenzione europea dei diritti umani.

Mellano sbarre mani

La pena della detenzione a vita, in Italia, è prevista e disciplinata dal Codice Penale, agli articoli 17 e 22. Chi vi è condannato può, nelle rigide modalità previste, avere accesso a una serie di benefici, come il regime di semilibertà e la libertà condizionale, e godere di determinati tipi di permessi. Inoltre, è stabilito che, dopo almeno 26 anni di espiazione della pena, il condannato possa essere ammesso alla liberazione condizionale. Si parla di “ergastolo ostativo” quando, invece, l’accesso a tali benefici e alle misure alternative al carcere è del tutto negato.

È il caso previsto all’articolo 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, “Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti”: i condannati per reati gravi, come ad esempio terrorismo, associazione mafiosa, sequestro a scopo di estorsione o associazione per traffico di stupefacenti, non possono usufruire di benefici nel caso in cui rifiutino di collaborare con la giustizia o qualora la loro collaborazione sia giudicata irrilevante.

Contrariamente al senso comune diffuso nell’opinione pubblica, anche quella mediamente informata, che ritiene che nessuno sia effettivamente condannato al “fine pena mai”, alla data del 12 ottobre 2016 i detenuti italiani condannati all’ergastolo erano 1.677, di cui a ben 1.217 sono stati riconosciuti reati “ostativi” (il 72,5%, con un trend in aumento), mentre solo 460 devono espiare ergastoli “normali”. In Piemonte, la Regione di cui sono Garante dei Detenuti, erano 93 gli ergastoli ostativi su 122 complessivi (con una leggera diminuzione rispetto al mese di marzo).

Sul tema dell’ergastolo ostativo ho avuto l’opportunità di organizzare, il 13 ottobre scorso, un convegno di approfondimento e di riflessione presso il Consiglio regionale del Piemonte dal titolo “Gli ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo” in cui si è discusso del tema a partire da un libro così titolato, scritto dal professore Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto Penale dell’Università di Ferrara, e dall’ergastolano ostativo Carmelo Musumeci. Pugiotto ha fatto notare che "l'ergastolo ostativo è una pena ingiusta perché si basa su un ricatto medievale e instaura il principio che si esce dal carcere non perché il detenuto se lo merita, ma solo se diventa collaboratore di giustizia". Si tratta di una tesi condivisa da altri oppositori di questa forma di ergastolo, che lo considerano una sorte di condanna a morte sotto mentite spoglie, una “morte per pena” che, in uno stato di diritto, non dovrebbe esistere e di cui Nessuno tocchi Caino e molte altre organizzazioni che si occupano delle condizioni di pena e dei diritti dei detenuti da anni chiedono l’abolizione, alla pari della pena di morte vera e propria.

La pena senza fine contraddice esplicitamente il terzo comma dell’articolo 27 della nostra Costituzione, che prevede che le pene non possano "consistere in trattamenti contrari al senso di umanità" e debbano "tendere alla rieducazione del condannato": con il “fine pena mai” non è nemmeno possibile ipotizzare un percorso di recupero e reinserimento. Sollecitata a pronunciarsi sull'ergastolo ostativo, la Corte Costituzionale ha affermato che esso in realtà assolverebbe alla funzione rieducativa della pena offrendo al condannato una “via d'uscita”, essendo rimessa alla sua scelta il farsi collaboratore di giustizia, requisito preteso per poter accedere alle misure alternative ed agli altri benefici penitenziari (nn. 306/1993 e 135/2003).

Secondo l’ex magistrato e membro del CSM Elvio Fassone, l'affermazione della Corte, tuttavia, è criticabile per varie ragioni, tra le quali, in particolare, il fatto che la collaborazione richiesta non è indice di avvenuta rieducazione, e tanto meno può essere considerata l'unico indice significativo; inoltre la collaborazione espone il condannato, e soprattutto i suoi congiunti, al fondato pericolo di ritorsioni sanguinose, e quindi richiede una condotta inesigibile.

La Corte europea dei diritti dell'uomo (Grande Chambre, 9 luglio 2013), dichiarando la violazione da parte del Regno Unito dell'art. 3 CEDU in relazione alla previsione della pena dell'ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale, ha statuito che la pena perpetua si legittima solo in quanto sussista la possibilità per il condannato di essere rilasciato anticipatamente in seguito ad un positivo esame dei suoi progressi durante l'esecuzione della pena e che a tale esame egli abbia diritto dopo un termine che spetta agli ordinamenti nazionali stabilire, ma che dovrebbe essere tendenzialmente fissato in almeno 25 anni di detenzione. L'individuazione della soglia di 25 anni, quale pena sufficiente in presenza di una condotta meritevole del condannato durante la detenzione, è suggerita anche dallo Statuto della Corte penale internazionale.

Sulla base di questa giurisprudenza, è difficile ipotizzare che l'ergastolo ostativo previsto dall'ordinamento italiano uscirebbe indenne dall'esame della Corte di Strasburgo.

Attualmente è all’esame del Parlamento il disegno di legge delega n. 2067 che reca un testo unificato che prevede interventi sul sistema penale e sulle norme processuali. Particolarmente interessante è l’attuale articolo 37 che fissa principi e criteri direttivi per la riforma dell’ordinamento penitenziario. Come evidenziato dal professor Marco Pelissero, ordinario di diritto penale all’università di Genova, si evidenziano nel testo due criteri portanti: il primo – generale – che stabilisce la facilitazione del ricorso alle misure alternative (andando a modificare i presupposti soggettivi, i limiti di pena e le modalità di accesso) attraverso l’esclusione delle norme che impediscano o rendano molto difficile l’individualizzazione del trattamento rieducativo. Il secondo criterio – in deroga al primo – fa salve le preclusioni nei “casi di eccezionale gravità e pericolosità specificatamente individuati e comunque per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale”.

In questo senso non vengono quindi superate le preclusioni nell’accesso alle misure alternative alla detenzione per i condannati all’ergastolo ostativo. Si rischia così di perdere l’occasione per affrontare in termini di giustizia e di umanità, ma anche di legalità costituzionale, un aspetto tutt’altro che marginale nel sistema giuridico del Paese: l’ergastolo ha superato le forche caudine del vaglio costituzionale italiano e convenzionale europeo solo in quanto dovrebbero esistere modalità concrete per vanificare la previsione, ma così non è. Gli ergastolani con fine pena nel “9999” sono oltre 1200 e le loro vite ci interrogano sui nostri principi.