Forse si farebbe bene a non sopravvalutare la portata politica e costituzionale della pronuncia, con cui ieri la Consulta ha seppellito la Fini-Giovanardi e riesumato la Iervolino-Vassalli. Dal punto di vista politico si passa da una legge a un altra relativamente più mite sul piano sanzionatorio, ma ancorata al medesimo presupposto proibizionista.

Peraltro a rendere migliore e comunque più ragionevole la legge ora resuscitata non fu il legislatore dell'epoca, spronato invece dal leader del PSI Bettino Craxi a rimediare a una normativa giudicata troppo lassista (la "famigerata" 685 del 75), ma il referendum popolare promosso dai radicali nel 1993, che abrogò le norme che prevedevano le sanzioni penali per l'uso personale di droghe proibite e quelle che fissavano un criterio quantitativo rigido (la cosiddetta "dose media giornaliera") per distinguere la detenzione per fini di consumo da quella per fini di spaccio.

Dal punto di vista costituzionale, inoltre, la Corte sembra semplicemente avere stabilito che in base all'articolo 77 della Costituzione non è possibile appiccicare come emendamento alla legge di conversione di un decreto recante norme urgenti su di un determinato oggetto (nel caso, le Olimpiadi invernali di Torino 2006) altre norme, prive dei requisiti di necessità e urgenza, su di un oggetto del tutto diverso. Quando si leggeranno le motivazioni della sentenza, presumibilmente, si comprenderà che la Corte non ha affatto dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi, che una maggioranza favorevole potrebbe riproporre con procedura ordinaria, ma unicamente la modalità della sua approvazione.

Il che, se da una parte vuol dire che sono strumentali le accuse alla Consulta di avere lanciato un messaggio pro drugs, sono decisamente ottimistici gli auspici di quanti ritengono che questa sentenza determini una svolta obbligata nelle politiche sulla droga. Determinerà, presumibilmente, effetti positivi sul sovraffollamento carcerario e negativi sul sovraffollamento giudiziario, con la richiesta di revisione di migliaia di processi. Ma non costringerà un legislatore riluttante a cambiare registro, né potrà fissare, come è avvenuto sulla legge elettorale, i criteri di compatibilità costituzionale della legislazione futura.

Da questo punto di vista, guardando l'evoluzione delle legislazioni di molti paesi, suona abbastanza provinciale anche il tentativo di contrapporre un proibizionismo dal volto umano ("non punizionista" del consumo personale) a uno dal volto disumano, quando l'alternativa è evidentemente tra proibizionismo e antiproibizionismo, tra la liberalizzazione illegale delle droghe, consegnate al monopolio criminale e la regolamentazione legale delle sostanze oggi proibite e in primo luogo di quella (la cannabis, con i suoi derivati) di più largo consumo.

Il proibizionismo dal volto umano potrà salvare dalla galera alcune migliaia di consumatori e piccoli spacciatori e ciò è certamente positivo. Non potrà però salvare l'economia legale dall'inquinamento delle decine di miliardi fatturati ogni anno nel nostro paese dalle narco-mafie, né salvare la società dalle conseguenze legate alla contiguità e solidarietà, che il mercato criminale stabilisce tra chi vende la droga e chi la consuma.