Bonino De Andreis filospinato

Cos’è la Patria? Cosa è oggi? E’ terra, possedimento? E’ confine, recinto? Possiamo ancora considerarla un fatto prevalentemente “geografico”? La Patria e la sovranità, come le intendono antistoricamente gli odierni rigurgiti nazional-pupulisti, hanno definitivamente perso ogni possibilità il 6 agosto 1991, quando Tim Berners-Lee pubblicò al CERN il primo sito web della storia.

La globalizzazione, prima di essere un fatto economico, è stata ed è un fatto politico, perché la sua maggiore implicazione è stata quella di affievolire i vincoli territoriali e di de-territorializzare gli stessi rapporti politici.

Lo notava Gianfranco Miglio già nel 2001 in uno dei suoi ultimi scritti, “Oltre lo Stato-nazione: l’Europa delle città”, pubblicato pochi mesi prima di morire. “Quella di fissare confini rigidi e immutabili e di farli rispettare con la forza è una vecchia mania della politica dell’età dello stato moderno. Qualcuno pensa ancora che basti un confine per difendere le identità”, diceva Miglio. “Economicamente e tecnologicamente i confini già non esistono più: permangono solo come espressione simbolica – politica e militare a un tempo – di un mondo che sta per finire”.

In realtà, c’è stata un’epoca in cui il sentimento della Patria già trascendeva il mero legame materiale con la terra. Era il tempo dell’Impero romano, in cui far parte della Civitas significava accedere a una dimensione superiore, quasi divina. Una formula avanzatissima, aperta alla mescolanza di razze ed etnie diverse, capaci di convivere portando con sé ciascuna la propria Patria personale. Quel sentimento trascendente, capace di tenere unita una realtà così vasta come l’Impero romano, sarebbe sfumato nel tempo, fino a scomparire nel disegno di potenza degli Stati nazionali ottocenteschi, disegno che avrebbe piegato la Patria a strumento di asservimento.

Nonostante il 6 agosto 1991, oggi c’è chi vende ancora la Patria in funzione respingente e isolazionista: non per esprimere ciò che si ama e in cui si crede, ma solo per respingere ciò che non si vuole o che spaventa. Di nuovo, si vende la Patria per preparare la guerra o per servire la propria sete di dominio. Sull’impostura di certe idee di Patria chiarissimo ancora Miglio, per il quale la radice patriottica dello stato-nazione è sempre stata il frutto dell’impegno costante di “legisti e giureconsulti volti a mascherare la vera, precisa finalità: fare la guerra.”

Ma allora cos’è la Patria oggi? E’ possibile che un Popolo da sempre in cerca di un’identità come quello italiano, possa ritrovarsi adesso attorno a valori discriminanti (come il colore della pelle) con la pretesa di farne dei valori unificanti? Possiamo davvero pensare come progetto di comunità quello per cui nemmeno i campioni Mario Balotelli e Fiona May potrebbero mai essere considerati davvero italiani? Perché questo propugnano i nuovi nazionalisti, i sommi sacerdoti del nuovo culto etnico della Patria: se sei nero, non basterà indossare fieramente il tricolore per poterti redimere.

Il fatto è che né il colore della pelle, né la terra dove nasciamo sono una conquista. Sono solo una casualità. E non è possibile fare di una casualità un valore, perché il caso non è una scelta, mentre la Patria deve esserlo, per definirsi tale. La Patria è oggi più che mai una categoria dello spirito. Come lo fu già per Enea, esule e migrante, che portò con sé la propria Patria caricandosi sulle spalle il padre e gli dei Penati di Troia e che per quella stessa Patria scelse un futuro in terra straniera, Roma, dove egli crebbe il proprio figlio.

Etimologicamente ci sentiamo sempre dire che il sostantivo Patria sia nato come aggettivo reggente il sostantivo “terra” (“la terra patria”, “la terra dei padri”). C’è qualcosa che però, quando nasci, viene prima della terra e dalla terra ben può prescindere. Qualcosa che se manca toglie qualsiasi possibile senso di appartenenza: le scelte, le lotte e le conquiste di quei padri. Carlo Rosselli scriveva che “La nostra Patria non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi.

“La Patria non è un territorio” scriveva Mazzini ne “I doveri dell’uomo”. “Il territorio non ne è che la base. La Patria è l'idea che sorge su quello; è il pensiero d'amore, il senso di comunione che stringe in uno tutti i figli di quel territorio.” E aggiungeva che “La Patria è la nostra lavoreria (…). Lavorando, secondo i veri principi, per la Patria, noi lavoriamo per l'Umanità: la Patria è il punto d'appoggio della leva che noi dobbiamo dirigere a vantaggio comune. La Patria è una comunione di liberi e d'eguali affratellati in concordia di lavori verso un unico fine.”

Piero Calamandrei, nel 1940, affermava: “La mia patria sono gli inglesi e i norvegesi che resistono sotto le bombe dei nazisti.” La Patria può essere solo dentro di noi, ovunque si sia, come coscienza e gratitudine per la libertà che ci è stata data e come senso di responsabilità per tramandarla a chi verrà dopo di noi. La nostra Patria era sulle spiagge di Dunkerque nel 1940, era con Martin Luther King il 28 agosto 1963 al Lincoln Memorial di Washington, era con Nelson Mandela nella prigione di Robben Island, era al confino nell’isola di Ventotene ed è oggi ovunque nel mondo la libertà venga calpestata.

Patria saranno sempre anche i luoghi del ritorno, certo. Ma non in quanto luoghi fisici, spaziali, bensì in quanto luoghi dello spirito. Luoghi in cui ritroviamo la nostra comunità di affetti, le nostre reti di solidarietà e la memoria delle lotte di chi venne prima di noi. La Patria è un luogo dello spirito e non c’è confine che tenga. Mazzini diceva che l’Europa avrebbe rappresentato un giorno “la patria di tutti, la Patria delle Patrie, l’Umanità”. Oggi può e deve essere quel giorno.

Perché la sovranazionalità, in un mondo che i progressi della tecnica rendono sempre più interdipendente, è l’unico modo di governare le connessioni senza rimanerne fuori. Scrivere le regole della convivenza assieme ad altri, per non subirle. La Patria del futuro si sta già delineando, volenti o nolenti, come tutto ciò che eleva l’orizzonte di una possibile convivenza a livello globale. L’approdo della Patria del futuro è probabilmente quella stessa trascendenza che fu già dell’Impero romano. La Patria del futuro è cloud computing e l’Europa può esserne il server principale. Agli Europeisti il compito di illuminare la via.