La spesa per protezione sociale in Italia è abbastanza elevata rispetto a quella dei principali paesi europei rispetto al PIL, anche se in termini assoluti non è elevatissima per via del minore PIL pro capite. L'unica eccezione è la Francia, che spende moltissimo sia in termini assoluti che in percentuale di PIL.

pensionati

La tabella riassume il dato complessivo, che verrà successivamente analizzato in maggiore dettaglio, per il 2011.

  Germania Spagna Francia Italia UK
€ (mld) 508 180 476 323 313
% PIL 19,5 17,1 23,8 20,5 17,6
€ pro capite 6.200 3.800 7.300 5.300 4.900
% pop > 64 anni 19,7 16,4 15,9 19,4 15,6

Si noti che, sebbene non tutta la spesa sociale sia per gli anziani, l'Italia e la Germania hanno una spesa sociale maggiore anche per via del maggior numero di ultra-sessantacinquenni. Questo non spiega però l'enorme spesa previdenziale italiana e a maggior ragione francese, come vedremo. La spesa pro capite relativamente bassa è legata al basso PIL pro capite italiano, frutto di una lunga stagnazione che si sta protraendo da almeno venti anni e che probabilmente continuerà anche in futuro. L'elevata tassazione sul lavoro prodotta dalla spesa previdenziale è a sua volta una delle cause della stagnazione economica.

I dati aggregati nascondono però molto, perché la spesa per protezione sociale è infatti divisa in varie voci secondo lo schema COFOG: malattia e disabilità, vecchiaia, superstiti, famiglia e bambini, disoccupazione, edilizia sociale, esclusione sociale, ricerca e sviluppo per la protezione sociale, e altre voci non classificate. Di seguito si analizzeranno le prime cinque voci, le più importanti.

Malattia e disabilità

Le spese per malattia e disabilità includono sia le pensioni di invalidità che l'assistenza ai lavoratori in malattia. Non è quindi possibile in base ai dati distinguere le due forme di assistenza sociale. La tabella riporta i dati per il 2011, tranne per la Spagna per cui sono disponibili solo quelli del 2010.

  Germania Spagna Francia Italia UK
€ (mld) 73,6 26,0 49,5 30,1 50,4
% PIL 2,8 2,5 2,5 1,9 2,8

L'Italia risulta spendere relativamente poco per i disabili e i malati: è infatti una caratteristica specifica del sistema sociale italiano quella di indirizzare tutte le risorse verso la spesa previdenziale. Su questa voce non ci sono quindi risparmi possibili, e anzi potrebbero essere necessarie maggiori risorse: c'è da dire che in tutti i paesi il rischio di esagerare con le politiche sociali anche quando non serve, per puri motivi elettorali, è elevato, quindi una maggior spesa potrebbe non essere necessaria.

Secondo l'ISTAT  (tavola 6.2), nel 2010 le pensioni di invalidità erogate da istituzioni pubbliche ammontavano a 11 miliardi di euro, per 2.2 milioni di beneficiari, per un controvalore medio di 4,900€ lordi l'anno. Sebbene si possa pensare di combattere forme di malcostume come le false invalidità, non sembra che l'ammontare di spesa complessivo per questa funzione sia elevato.

Vecchiaia

La spesa previdenziale italiana è invece elevatissima: maggiore di quella tedesca nonostante la simile composizione demografica, e molto maggiore di quelle britannica e spagnola. Soltanto la Francia fa eccezione, soprattutto considerando l'età relativamente bassa della popolazione.

  Germania Spagna Francia Italia UK
€ (mld) 248,0 79,7 269,0 217,3 149,7
% PIL 9,5 7,6 13,4 13,7 8,5
% pop > 64 anni 19,7 16,4 15,9 19,4 15,6

La spesa previdenziale italiana è superiore a quella degli altri paesi di 4-5 punti di PIL, e quindi c'è un eccesso di spesa di 50-70 miliardi per questa voce: sarebbe facile finanziare l'eliminazione dell'IRAP (poco più di venti miliardi di gettito al netto delle partite di giro), o trovare risorse per finanziare le poche voci di spesa in cui l'Italia spende poco, quali l'assistenza ai disoccupati, se si risolvesse il problema della spesa previdenziale. L'Istat fornisce dati disaggregati riguardo la composizione della spesa previdenziale per la vecchiaia (tabelle 5.2 – 5.7). La spesa pubblica totale per la vecchiaia ammontava nel 2010 a 238 miliardi, divisi in 20,4 milioni di assegni di importo medio di 11.700€. La spesa privata ammontava a soli 2,6 miliardi, e verrà quindi trascurata nel seguito.

Della spesa complessiva 218,1 miliardi sono per le pensioni previdenziali, mentre 22,8 miliardi per quelle assistenziali: ne risulta che solo una piccola parte, circa il 10%, della spesa complessiva, serve per aiutare chi non poteva permettersi una pensione adeguata. La spesa previdenziale complessiva è originata da 160 miliardi di spesa per il comparto privato, con assegni di valore medio pari a 11.600€, e a 57,4 miliardi per il settore pubblico, con pensioni medie di 21,700. Non è noto quanto della spesa per il comparto pubblico sia dovuta alla maggiore stabilità dei rapporti di lavoro, e quanto a condizioni di favore che hanno per decenni discriminato il comparto privato.

La seguente tabella mostra la spesa totale per le pensioni di più alto importo per il comparto privato e per quello pubblico. Si tratta di pensioni lorde, ma è da notare come 2.000€ lordi mensili rappresentino già un reddito elevato per la maggior parte degli italiani più giovani, e quindi è da considerarsi un reddito non trascurabile.

  Importo Spesa Beneficiari
(x 1000)
Importo
medio (€)
Totale 2.000-2.500 € 28,8 1.100 26.700
2.500-3.000 € 15,1 500 32.500
più di 3.000 € 29,3 600 52.800
Privato 2.000-2.500 € 16,6 600 26.600
2.500-3.000 € 9,7 300 32.600
più di 3.000 € 9,7 300 50.800
Pubblico 2.000-2.500 € 12,2 500 26.700
2.500-3.000 € 5,7 200 32.400
più di 3.000 € 11,5 200 56.500

Si nota che la spesa per assegni di elevato importo è notevole: sopra i 3.000€ è quasi il 2% del PIL, sopra i 2.500€ è quasi il 3%, e sopra i 2.000€ è quasi il 5% (oltre 70 miliardi di euro). Si nota anche che la spesa è sbilanciata a favore del settore pubblico, soprattutto per quanto riguarda le pensioni di importo più elevato: sebbene il settore pubblico rappresenti circa un quarto della spesa previdenziale, pesa per circa il 40% per quella superiore ai 2.000€ lordi mensili. Come detto precedentemente, parte di questo fenomeno rappresenta il risultato di passati privilegi legali, e parte è la naturale conseguenza della maggiore stabilità del rapporto di lavoro.

Grazie alla riforma Fornero  la spesa previdenziale almeno per circa un decennio sembra sotto controllo: ricomincerà probabilmente ad aumentare successivamente. Quindi non solo l'Italia ha una spesa previdenziale enorme, pagata dalle nuove generazioni che non riceveranno assegni pensionistici altrettanto generosi, ma la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare, anche se non nell'immediato. Risolvere questo problema libererebbe una quantità enorme di risorse per far ripartire il paese: si potrebbero mettere in sicurezza i conti pubblici e ridurre la pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese, che in Italia è a livelli insostenibili. È però verosimile che le riforme necessarie siano incostituzionali: la Costituzione sembra infatti difendere i percettori di rendita contro i lavoratori e in generale contro coloro che producono ricchezza.

I dati degli ultimi anni non sono affatto confortanti: lo squilibrio tra contributi e prestazioni ottenute è ancora la norma per moltissime nuove pensioni, col risultato che il carico contributivo sulle future generazioni continua a diventare sempre più iniquo: secondo uno studio di Fabrizio e Stefano Patriarca, delle pensioni maturate a partire dal 2008 circa il 30% delle prestazioni sono ingiustificate rispetto ai contributi. In meno di cinque anni, quindi, la spesa previdenziale “scoperta”, e quindi a carico delle future generazioni, è aumentata di circa 6 miliardi. Ci sono poche opzioni di policy per sbloccare i quasi 5 punti di PIL di spesa previdenziale in eccesso nel breve termine: vale però la pena provarle tutte. È possibile ricalcolare le pensioni secondo il contributivo, calcolare le nuove pensioni con il contributivo, ridurre la rivalutazione delle pensioni con l'inflazione, oppure modificare il mix fiscale tra imposte sui redditi e altre imposte che insistono sui produttori di ricchezza (come i contributi, l'IRAP, l'IRES...) a favore delle prime.

Assumendo che anche in passato la parte non giustificata delle pensioni fosse pari al 30% stimato nello studio de La Voce, agendo solo sulle pensioni sopra i 2.000€ lordi, e assumendo che nessuna scenda sotto questa soglia, si potrebbe risparmiare fino ad un punto di PIL. Il taglio sarebbe basso per le pensioni tra i 2.000 e i 2.500, e maggiore per le pensioni di importo superiore. Il limite di 2.000€ garantisce che non vengano colpite persone economicamente deboli, ma sembrerebbe un limite molto alto rispetto ai redditi delle giovani generazioni. È da notare che questo ricalcolo non rappresenta un esproprio: i fondi per finanziare le pensioni sono infatti in parte espropriati ai lavoratori odierni tramite i contributi, e solo in parte sono stati finanziati da passate contribuzioni da parte dei beneficiari. Semplicemente, lo stato non rispetterebbe la promessa di togliere ai primi per dare ai secondi, promessa che non avrebbe mai dovuto fare.

Supponendo un tasso di inflazione medio del 2%, annullando la rivalutazione delle pensioni si potrebbe guadagnare in una legislatura circa il 10% in termini reali. Questo risparmio, escludendo le pensioni di basso importo per evitare di colpire le fasce più deboli, potrebbe ammontare a circa l'1% del PIL. Per esentare i redditi più bassi da questa riforma si potrebbe ridurre l'IRPEF sui redditi più bassi, o rimodulare verso l'alto le pensioni più basse. Si noti che i dati sulla spesa per le pensioni forniti da ISTAT riguardano gli assegni e non i beneficiari, ed è possibile che la stessa persona cumuli più di un assegno.

Nel caso non fosse possibile ridurre la spesa previdenziale non coperta da precedenti contributi per motivi legali, lo stesso risultato si potrebbe ottenere aumentando l'IRPEF, dato che viene pagata anche dai pensionati, a differenza di molte altre imposte. Siccome l'aumento della pressione fiscale sui redditi avrebbe effetti deleteri su aziende e lavoratori, questo aumento andrebbe bilanciato da una riduzione dei contributi previdenziali a carico del lavoratore e dei datori di lavoro, dell'IRAP e dell'IRES, della tassazione sui risparmi recentemente aumentata. L'Italia ha bisogno di risparmi, di investimenti e di lavoro per ripartire, e tassare ulteriormente i fattori produttivi comporterebbe effetti nefasti sull'economia.

Superstiti

L'Italia è il paese che investe di più per i superstiti (vedove e orfani): anche se ci sono molte differenza tra i vari paesi, la spesa in eccesso sembrerebbe attorno a circa l'1%. Non si hanno dati sul numero di vedove e orfani in Italia rispetto agli altri paesi. La spesa previdenziale per superstiti in Italia era 6,5 miliardi nel 2010 (tavola 7.2), e quindi rappresenta solo una parte della spesa complessiva. Non è chiaro il motivo della forte discrepanza.

  Germania Spagna Francia Italia UK
€ (mld) 50,7 22,6 30,9 43,2 1,5
% PIL 1,9 2,2 1,5 2,7 0,1

Famiglia e bambini

Con l'eccezione della Spagna, l'Italia spende poco per le politiche per la famiglia e per i bambini. È probabile che migliori politiche per la famiglia, come una maggiore disponibilità di asili, possano influenzare la natalità, e quindi l'equilibrio demografico – e fiscale – del paese, ovviamente nel lungo termine. L'argomento è interessante ma da approfondire: le cifre in gioco sono comunque limitate.

  Germania Spagna Francia Italia UK
€ (mld) 41,7 7,4 49,4 17,1 36,9
% PIL 1,6 0,7 2,5 1,1 2,1

Disoccupazione

Infine, l'Italia spende poco per i disoccupati, con l'eccezione del Regno Unito che spende ancor meno. Il mercato del lavoro italiano soffre di svariati problemi: è duale, cioè è diviso tra una maggioranza di lavoratori molto tutelati e una minoranza di lavoratori quasi privi di tutele e che quindi subiscono quasi per intero il costo delle recessioni; è inefficiente, producendo modifiche dei livelli salariali indipendenti dalla produttività e quindi senza tener conto della riduzione di competitività che ciò comporta; è troppo uniforme, imponendo tramite contrattazione collettiva dei costi contrattuali minimi uniformi al sud e al nord, nonostante l'enorme differenza di condizioni economiche tra le varie parti d'Italia.

Anche le misure sociali per la disoccupazione sono inadeguate: buona parte della spesa dipende dalla Cassa Integrazione, che consiste nel pagare le persone per non lavorare anziché cercarsi un altro lavoro, col rischio di tenere in piedi imprese decotte e incapaci di stare in piedi da sole, che assorbono capitali privati e spesso risorse pubbliche, e soprattutto capitale umano che sarebbe teoricamente capace di dare altrove un contributo al paese. Qualunque riforma si faccia per il mercato del lavoro, e ciò è assolutamente necessario per correggere le storture di cui sopra, dovrà passare però per un aumento della spesa per l'assistenza ai disoccupati, almeno nel breve termine: qualunque riforma significativa avrebbe infatti l'effetto di aumentare la disoccupazione nel breve termine, nell'intervallo tra la chiusura delle imprese sovradimensionate e incapaci di stare in piedi da sole e l'apertura di nuove imprese, o l'estensione dell'occupazione nelle imprese preesistenti.

  Germania Spagna Francia Italia UK
€ (mld) 62,8 34,0 37,4 13,4 6,6
% PIL 2,4 3,3 1,9 0,8 0,4

Conclusioni

La spesa per la protezione sociale in Italia è abbastanza elevata, ma l'aggregato nasconde molte differenze tra le varie voci di spesa: l'Italia spende enormemente di più nella spesa previdenziale per la vecchiaia e per i superstiti, e spende relativamente di meno in altre voci, come l'assistenza ai disoccupati.

È difficile pensare ad una riduzione della spesa previdenziale superiore a due punti di PIL nell'arco di una legislatura, ma la riduzione complessiva della spesa a regime potrebbe superare i cinque punti di PIL, liberando risorse per ridurre la pressione fiscale su lavoro e imprese, che in Italia è a livelli record, per ridurre il deficit e mettere in sicurezza i conti pubblici, e anche per finanziare altre forme di assistenza sociale, come gli aiuti ai disoccupati.