catalogna3

I fatti del 20 Settembre, con le operazioni di polizia e gli arresti a Barcellona contro il referendum indipendentista, hanno avuto l’ovvio effetto di rinfocolare gli impulsi secessionisti anche tra i catalani - la maggioranza - che sono contrari alle posizioni estremistiche.

Se Madrid avesse in qualche modo tollerato la preparazione della consultazione – comunque illegittima secondo Costituzione – l’avrebbe depotenziata a fatto di folclore e, probabilmente, come nelle ultime elezioni politiche della Generalitat, i secessionisti non avrebbero prevalso.
Di contro, invece, la deposizione della politica e la delega della risoluzione del conflitto alle procure e alla polizia ha esacerbato anche gli animi dei moderati, di chi, ora, pretende il referendum come reazione democratica al sopruso del potere.

La democrazia spagnola, quindi, è a un bivio e a un bivio è l’unità politica spagnola di più comunità che, però, solo unite hanno oggi la possibilità di incidere nel quadro europeo ed internazionale e di affrontare insieme ciclicità delle crisi economiche. La politica, invece, delle piccole patrie, il ritorno stantio di un nazionalismo identitario da operetta, calcistico e stendardesco, che esaspera le differenze ed individua i nemici nei vicini è un triste déjà-vu che, attraverso la rivendicazione di maggiore autonomia fiscale, mortifica il dibattito nobilissimo su Cultura e Nazione e scantona in una visione distorta dell’identità. Una visione cristallizzata, ideologica ed antistorica che già Miguel De Unamuno - proprio a proposito della crisi di Spagna di fine Ottocento, divisa tra europeismo e culto dell’origine - aveva affrontato da par suo nel saggio del 1902 “Intorno al Casticismo” che raccoglieva cinque articoli pubblicati su “Espana Moderna” nel 1895 (tr. it. Cultura e Nazione, Medusa, 2011).

L’identità popolare vera, quella che Unamuno chiama “Tradizione eterna”, non può mai significare chiusura di un popolo su se stesso, non è la catalessi morale di un Paese che rifiuta ogni contaminazione “mettendo le porte alla campagna” ma coincide - soprattutto per la Spagna che ha vissuto epoche di formidabile egemonia universale - con l’accettazione di un cosmopolitismo – non solo castigliano, non solo europeo dunque – che vivifica le caratteristiche delle singole comunità nazionali, attualizzandone le specificità nella contemporaneità e nell’unità.

Ciò che il filosofo basco – uno dei padri del pensiero liberale europeo – intende dire, è che così come la tradizione rappresenta la sostanza della storia, in egual modo l’eternità, la durata, la trasmissione, la traduzione odierna della tradizione per il futuro, sono la sostanza del tempo.
Cercare, dunque, la tradizione solo nel passato, ipostatizzare e sacralizzare un momento storico equivale a cercare l’eternità nel passato, “equivale a cercare l’eternità nella morte”.

Rigidità e passatismo sembrano, infatti, accompagnare le rivendicazioni degli estremisti catalani (non diversamente da ciò che accade con gli sterili nazionalismi basco, corso o scozzese). La rivendicazione, in sintesi, della purezza di un “campanile” di certo non vilipeso: Barcellona - e chi lo può negare - è oggi una delle capitali di Spagna e d’Europa ed il nazionalismo estremista catalano assomiglia molto all’egoismo di chi non vuole condividere – ecco il sempre più pressante accento sull’autonomia fiscale – piuttosto che alla rivoluzione liberante di un popolo oppresso e schiavo.

Unamuno – pensando anche e soprattutto al suo popolo basco – l’ha più volte ripetuto: l’amore per il proprio “campanile” è sano solo quando va di pari passo con quello per la patria umana universale. Bisogna tenere in equilibrio l’ambiente con l’assimilazione feconda delle cose esterne, perché “la mutualità nasce da sé, ogni adattamento è reciproco”.

L’idea, invece, di “salvarsi” e di uscire dalla crisi economica da soli (mantra proprio anche della Brexit), di perdere l’Europa per poi ricontrattarla in solitaria (se mai fosse possibile) è un’idea sbagliata quanto l’auto-redenzione, proprio perché – e la Storia dell’unità politica moderna, dell’affermazione della statualità lo conferma – “gli uomini ed i popoli si redimono a vicenda”.

In tal senso, la lucida prospettiva unitarista di Don Miguel sulla Spagna di fin de siècle in crisi d’identità ha senso anche oggi, appare dirimente ed offerta come soluzione a tutte le parti del conflitto. Un offerta spirituale, però, purtroppo minoritaria oggi in tutta Europa; una prospettiva Occidentale tesa all’unità e alla collaborazione che è forza e futuro contro la parcellizzazione dei mille confini che è soffocamento, limite e perdizione.

Unamuno, rivolto da basco alla sua Spagna universale, non tace dunque il conflitto, non nasconde la crisi ma per affrontarla al meglio la esaspera arrivando alla radice dello scontro – oggi attualissimo, non solo in Spagna - tra identitaristi escludenti (“entomologi della storia”) e cultori della società aperta e delle invasioni culturali; ciò che ne esita è un ribaltamento di senso tra vincitori e vinti, una pragmatica graduatoria tra gli egoismi ed una feconda interpretazione della forza: “Il più profondo egoismo non è quello di chi lotta per imporre ad altri il proprio modo d’essere e di pensare, ma quello di chi, chiuso nel suo guscio, muore d’amor proprio e lascia correre il resto. Il forte, il radicalmente forte, non può essere un egoista: chi ha forza da vendere, la tira fuori per donarla”.