Stadio Roma

L’articolo Occhio alle norme ‘ad stadium’ nella manovrina conteneva una descrizione dell’art. 62 del decreto correttivo (la cosiddetta manovrina) all’interno della quale sono stati evidenziati i grossi problemi applicativi ed interpretativi che una conversione in legge delle modifiche alla disciplina normativa in materia di stadi avrebbe comportato anche – e non solo – rispetto ai procedimenti amministrativi in corso, come quello finalizzato alla realizzazione dello stadio della A.S. Roma nell’area di Tor di Valle.

L’articolo - che traeva le mosse dalle considerazioni esposte sulla vicenda dello stadio da parte del segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi – si concludeva con l’auspicio che il Parlamento espungesse l’art. 62 dal decreto da convertire in legge ovvero che si astenesse dall’introdurre ulteriori estemporanee modifiche alla normativa sugli stadi.

Purtroppo però, se si prende in considerazione il testo del decreto legge n. 50 del 2017 approvato dalla Camera – sul quale l’esecutivo ha chiesto ed ottenuto la fiducia – si può verificare che l’art. 62 non è stato soppresso e che, per effetto di un emendamento del Governo approvato durante l’esame del decreto nella Commissione Bilancio, è stato riformulato senza rimuovere l’antinomia relativa al valore giuridico da attribuire al verbale conclusivo della Conferenza Decisoria per quel che concerne la variazione/conformazione della disciplina urbanistica descritta nel precedente articolo e rendendo, se possibile, ancora più confusa e pasticciata la norma.

Prima di tutto non si può non sottolineare quanto previsto dal riformulato comma 1 in merito alla destinazione d’uso dell’intervento immobiliare complementare alla realizzazione dell’impianto sportivo. Come preventivato dal segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi quando aveva ammonito la giunta grillina a non cantare troppo presto vittoria, il riformulato comma 1 dell’art. 62 della manovra correttiva, pur ribadendo, nel primo periodo, che il progetto non possa includere tra gli immobili “complementari o funzionali al finanziamento o alla fruibilità dell’impianto sportivo” la realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale, nel periodo successivo ammette la possibilità di realizzare “anche alloggi di servizio strumentali alle esigenze degli atleti e dei dipendenti della società o dell’associazione sportiva utilizzatrice” nel caso in cui l’impianto sportivo abbia una capienza superiore a cinquemila posti.

Sul metodo, non si può non sottolineare l’effetto destabilizzante e disorientante di un’azione legislativa in base alla quale, all’interno dello stesso comma, prima si esclude tassativamente un’ipotesi (la realizzazione di superfici con destinazione residenziale) e poi la si ammette a determinate condizioni (strumentalità alle esigenze degli atleti e dei dipendenti della società o dell’associazione sportiva) fissando, peraltro, un limite massimo - il 20 per cento della superficie utile - piuttosto alto, specialmente nel caso di impianti e di operazioni urbanistiche complementari rilevanti quale lo stadio della A.S. Roma nell’area di Tor di Valle. 

Quanto al merito della norma – restando allo stadio di Tor di Valle - è davvero difficile immaginare che la A.S. Roma necessiti di un quinto della superficie utile realizzabile (i metri quadri realizzabili in base al progetto che verrà assentito) per soddisfare le esigenze "alloggiative" dei propri atleti e dei propri dipendenti. Meno difficili da immaginare saranno gli sforzi che il promotore immobiliare farà per classificare come alloggi di servizio una parte – la più ampia possibile fermo restando il limite sopramenzionato - delle volumetrie realizzabili e le complesse, e scivolose, mediazioni che dovranno essere ricercate con l’amministrazione.

Con la riformulazione dei commi 1 e 2 e l’introduzione del comma 2-bis dell’art. 62, il Governo ha tentato di definire il regime normativo da applicare distinguendo gli “interventi su impianti sportivi privati” e gli “interventi da realizzare su aree di proprietà pubblica o su impianti pubblici esistenti”, senza però riuscire a costruire un quadro chiaro compiuto e sistematico della disciplina normativa da applicare. Prima di tutto negli 8 commi attraverso i quali è stato riformulato l’art. 62, infatti, si dettano disposizioni facendo riferimento non solo alle fattispecie giuridiche soprariportate ma anche ad altre non perfettamente coincidenti con quest'ultime.

Al comma 1 terzo periodo, la norma fa riferimento al “caso di impianti sportivi pubblici” - e dunque non necessariamente esistenti e su aree interamente ed originariamente di proprietà pubblica - stabilendo che gli immobili con destinazione d’uso diverse da quella sportiva realizzabili nei termini stabiliti dal riformulato comma 1 sopradescritti “sono acquisiti al patrimonio comunale” senza specificare, però, quando e con quali modalità avverrebbe tale acquisizione, o meglio l’effettiva immissione in possesso da parte dell’amministrazione – che è ciò che rileva ai fini di una loro utilizzazione per esigenze pubbliche - di questi beni.

Al comma 2-bis secondo periodo, la norma introduce una fattispecie giuridica ulteriore rispetto a quelle indicate nei commi precedenti. Intervenendo sulla delicata questione rappresentata dal valore giuridico del verbale conclusivo della Conferenza Decisoria e dai suoi effetti rispetto alla disciplina urbanistica, il legislatore riesce a distinguere il caso di “impianti sportivi che anche in parte ricadono su aree pubbliche” – e dunque non integralmente ma anche solo per una parte su aree pubbliche come è il caso dello stadio di Tor di Valle – da quello dei cosiddetti “impianti sportivi privati” quale è comunque destinato ad essere il medesimo stadio della A.S. Roma a Tor di Valle.

I problemi applicativi ed interpretativi che si pongono alle amministrazioni chiamate a distinguere tra le due fattispecie giuridiche - così come sommariamente descritte dal legislatore – sono particolarmente gravosi visto le differenze molto rilevanti tra i regimi normativi che dovrebbero trovare conseguentemente applicazione. Il comma 2-bis stabilisce, da una parte, che “nel caso di impianti sportivi che anche in parte ricadono su aree pubbliche, il verbale conclusivo di approvazione del progetto (che è in altri termini il verbale conclusivo della conferenza decisoria) (…) costituisce verifica di compatibilità ambientale e variante allo strumento urbanistico comunale ai sensi e per gli effetti degli articoli 10, comma 1 e 16 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari  in materia di espropriazione per pubblica utilità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327”, e dall’altra che “nel caso di impianti sportivi privati il verbale conclusivo della conferenza di servizi decisoria (che è in altre parole il verbale conclusivo di approvazione del progetto) costituisce, ove necessario, adozione di variante allo strumento urbanistico comunale ed è trasmesso al sindaco che lo sottopone all’approvazione del consiglio comunale nella prima seduta utile”.

L’emendamento del Governo – ed ahinoi la norma che probabilmente verrà convertita in legge – non soltanto, come già scritto, lascia irrisolti ed aperti l’antinomia ed i problemi segnalati nel precedente articolo, ma rende ancor più confusa e difficilmente applicabile la normativa e più acuti i conflitti con la disciplina legislativa in materia urbanistica.

Gli interrogativi, già numerosi, aumentano: come ed in base a quale criterio (quantitativo o qualitativo) sarà possibile distinguere gli impianti sportivi che anche in parte ricadono su aree pubbliche dagli altri?

Per quale ragione lo stesso provvedimento – il verbale conclusivo della Conferenza Decisoria – ha effetti giuridici profondamente diversi (costituisce l’approvazione della variante urbanistica e dunque comporta la conformazione/adeguamento dello strumento urbanistico rispetto al progetto oppure costituisce soltanto adozione, e non approvazione, della variante urbanistica da sottoporre a successiva "approvazione del consiglio comunale"se l’area interessata dall’operazione urbanistica comprenda o meno una parte anche piccola e marginale, come è di fatto inevitabile, di aree di proprietà pubblica, e soprattutto del tutto a prescindere dalla natura privata o pubblica della medesima operazione?

Perché si precisa che il verbale conclusivo di approvazione del progetto costituisce variante urbanistica ai sensi degli artt. 10 e 16 del Testo Unico in materia di espropriazioni ma non si esplicita alcuna forma di raccordo con la disciplina urbanistica di matrice statale e regionale ed in particolare con le disposizioni che regolano il procedimento complesso della variante urbanistica? Anche perché - come ha fatto più volte notare la Regione Lazio durante la Conferenza di Servizi Decisoria relativa allo stadio della A.S. Roma nell’area di Tor di Valle – quest’ultime disposizioni non risultano soppresse né disapplicate e disapplicabili in seno ai procedimenti amministrativi finalizzati alla realizzazione di impianti sportivi disciplinati dalla normativa statale di settore.

Ed infine perché il verbale conclusivo della Conferenza Decisoria - ove costituisca adozione di variante urbanistica - dovrà essere approvato dal Consiglio Comunale e dunque sarà oggetto di una deliberazione che potrebbe ammettere l'eventuale introduzione di modifiche e/o di condizioni aggiuntive, e non di una mera ratifica come previsto nel caso, in qualche modo analogo, di sottoscrizione di un accordo di programma, a parte tutti i problemi che una disposizione di questo tipo comporta descritti nel precedente articolo.

Due ultime considerazioni devono essere riservate alle disposizioni contenute nei riformulati commi 1 e 2 dell’art. 62, alle quali si è fatto già riferimento. Nel comma 1, laddove si parla di interventi da realizzare su aree di proprietà pubblica o su impianti pubblici esistenti, si fa appropriatamente riferimento ad un esame comparativo di eventuali istanze concorrenti al termine del quale l’amministrazione individua quella da dichiarare di interesse pubblico e da ammettere alla conferenza di servizi decisoria.

Peccato che il legislatore non abbia fatto pienamente tesoro delle riflessioni sviluppate sull’argomento dall’ex presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici Francesco Karrer. In questo contributo il professor Karrer ha messo in rilievo il fatto che la concessione al promotore della possibilità di realizzare un intervento immobiliare in variante alla strumentazione urbanistica vigente (nel caso dello stadio della A.S. Roma realizzare edifici per uffici in un’area nella quale non è previsto dal Piano Regolatore Generale ed in aggiunta a quelli già previsti, realizzati o ancora da realizzare) nell’ambito del procedimento finalizzato alla realizzazione dello stadio comporta l’attribuzione di un vantaggio economico che necessiterebbe, in ogni caso – e non solo nella fattispecie ipotizzata nel riformulato comma 1 dell’art. 62 del decreto in discussione richiamata in precedenza - di un confronto concorrenziale per non porsi in aperto contrasto con il principio di concorrenza.

Quanto al nuovo comma 2 il legislatore precisa che il progetto definitivo - da sottoporre all’esame della Conferenza di Servizi Decisoria - deve contenere una bozza di convenzione urbanistica di cui all’art. 28-bis del D.P.R. 380/2001 quella che è stata introdotta dal legislatore con la legge n. 164 del 2014 a corredo del cosiddetto “permesso di costruire convenzionato”, ed un piano economico-finanziario “che dia conto, anche mediante i ricavi di gestione, dell’effettiva copertura finanziaria dei costi di realizzazione”. Il progetto definitivo deve contenere, invece, un piano economico-finanziario asseverato ai sensi dell’art. 183, comma 9, del codice dei contratti (D.lgs n. 50/2016) “nel caso di interventi da realizzare su aree di proprietà pubblica o su impianti pubblici esistenti

Su questo passaggio della norma va preso atto del fatto che è stato introdotto l’obbligo di corredare la documentazione progettuale con un piano che consenta di valutare e verificare effettivamente – e non a colpi di proclami a mezzo stampa - l’equilibrio economico-finanziario dell’operazione e la corretta ripartizione dei costi e dei benefici (pubblici e privati), così come aveva proposto Riccardo Magi durante l’esame nell’aula Giulio Cesare della Delibera di Assemblea Capitolina n. 132/2014.

Resta meno chiara la scelta di imporre l’obbligo di presentare un piano economico-finanziario asseverato - e dunque con una preventiva verifica della congruità tecnico-economica e della “bancabilità” dell’operazione - soltanto nel caso in cui l’operazione interessi aree di proprietà pubblica o impianti pubblici esistenti e non in tutti i casi, vista la stringente necessità di disporre di una adeguata documentazione tecnica relativa all’operazione urbanistica anche nei casi di interventi su impianti sportivi privati che, con rare eccezioni, presupporranno e renderanno necessarie una variazione della disciplina urbanistica vigente, l’attribuzione di diritti edificatori (e dunque di corrispondenti vantaggi economici) a soggetti terzi da parte dell’amministrazione ed in ogni caso una trasformazione del territorio che deve essere sostenibile e dunque realizzabile alle condizioni con le modalità e con la tempistica progettualmente stabilite.

Allo stesso tempo appare meno convincente la scelta di fare riferimento alla convenzione che correda il permesso di costruire convenzionato, di cui all’art. 28-bis del D.P.R. 380/2001 – che si adatta ad operazioni di dimensioni più contenute e meno complesse tanto che presuppongono il rilascio soltanto di un permesso di costruire – e non a quella prevista dall’art. 28 comma 5 della legge urbanistica fondamentale, senza contare che, come sottolineato da Riccardo Magi, per la corretta conduzione di procedimenti complessi, e che interessano una pluralità di infrastrutture di proprietà o gestite da una pluralità di soggetti pubblici, come quello finalizzato alla realizzazione dello stadio della A.S. Roma a Tor di Valle, non può certo bastare una corretta regolazione dei rapporti tra il promotore e l’amministrazione comunale (con una convenzione urbanistica), ma si rende necessaria semmai la sottoscrizione di un accordo di programma di cui all'articolo 34 del d.lgs.18 agosto 2000, n. 267.

Alla luce della ricostruzione delle modifiche alla normativa statale in materia di stadi contenute nel decreto legge n. 50 del 24 aprile 2017 approvato dalla Camera appare davvero ancora più difficile - in particolar modo per l’amministrazione capitolina alle prese con un procedimento che è stato avviato sulla base della normativa previgente e che è tuttora in corso – provvedere ad una corretta interpretazione e ad una ordinata applicazione di disposizioni di questo tipo destinate ad essere convertite in legge senza possibilità di essere modificate - o soppresse come sarebbe preferibile - da parte del Senato, a meno di incidenti parlamentari propiziati dalle tensioni aperte tra le forze che sostengono il Governo Gentiloni.