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Secondo un’opinione che sta circolando in questi giorni, l’applicabilità delle nuove regole del bail-in anche alle obbligazioni subordinate già emesse al 1° gennaio 2016 non darebbe luogo ad alcuna applicazione “retroattiva” della legge sulla risoluzione delle banche (il D.Lgs. 180/2015 di recepimento della Direttiva BRRD), e sarebbe anzi una salutare misura di “educazione finanziaria”.

Si afferma, infatti, che gli obbligazionisti avrebbero perso il loro capitale anche nell’ipotesi di liquidazione coatta amministrativa della banca, come conseguenza di quello stesso dissesto che innesca l’alternativa procedura di bail-in. Nessun peggioramento, dunque, rispetto alla situazione preesistente. In ogni caso, anche ammesso un effetto retroattivo delle regole sul bail-in capaci di incidere su titoli già in circolazione, si obietta che si tratterebbe di situazione del tutto paragonabile a quanto si verifica nel caso di incrementata tassazione dei futuri rendimenti di un capitale produttivo.

Ora, il fatto che gli obbligazionisti subordinati si trovino oggi, con riguardo al rischio di bail-in, nella stessa situazione in cui si trovavano prima, rispetto all’ipotesi di liquidazione coatta della banca, mi sembra fortemente discutibile. Nell’ipotesi di liquidazione coatta o fallimento, infatti, i diritti dei creditori non vengono inceneriti all’istante, cioè estinti giuridicamente, subendo invece gli effetti negativi dell’insolvenza del debitore, il cui patrimonio potrebbe non essere sufficiente (come di norma non sarà) all’adempimento di tutte le obbligazioni in essere.

In caso di insolvenza e avvio della procedura liquidatoria, tuttavia, l’effettiva perdita dell’emittente e il suo patrimonio residuo devono essere effettivamente accertati, all’esito di un lungo iter amministrativo, durante il quale possono emergere non solo sopravvenienze passive ma anche sopravvenienze attive (per fruttuose azioni revocatorie o di responsabilità intentate dai commissari giudiziali, per l’esistenza di garanzie o una ripresa della congiuntura che consentono di incassare crediti deteriorati, per l’incasso di plusvalenze latenti, e così via). Insomma, se è certamente vero che nell’ipotesi di fallimento il titolare di una passività subordinata rischia seriamente di vedere falcidiate o azzerate le proprie aspettative di recupero, data la clausola di postergazione, non si può escludere in assoluto che, per effetto della liquidazione dell’attivo fallimentare, una parte del credito possa essere rimborsata.

La Direttiva BRRD si rende conto di questo laddove enuncia il principio no creditor worse off, in base al quale nessun creditore deve sostenere perdite più ingenti di quelle che avrebbe sostenuto se l’ente fosse stato liquidato con ordinaria procedura di insolvenza. Si tratta tuttavia di un principio puramente astratto e di una parità di trattamento inattuabile, data l’impossibilità di stabilire ex ante quale sarebbe stato il patrimonio finale di una liquidazione, semplicemente “simulandola” e riproducendone gli esiti in vitro. Si pensi del resto a quanto accaduto con le quattro banche poste in risoluzione nel novembre 2015, in cui i creditori subordinati sono stati azzerati senza concedere loro la possibilità di concorrere all’eventuale residuo attivo delle attività oggetto di liquidazione, come spiegato in questo post.

L’eventualità di rimborso di certe passività è invece esclusa in radice e senza appello dall’ipotesi alternativa alla liquidazione coatta, dato che il bail-in implica la cancellazione e la giuridica estinzione dei diritti di alcune classi di creditori, che oltretutto può scattare anche in presenza di un mero “rischio di dissesto” (non già dunque, necessariamente, di un dissesto conclamato). Ed è dunque ancor più evidente, in tal caso, la perdita di chances in capo ai creditori subordinati, rispetto all’ipotesi alternativa di insolvenza o sottopatrimonializzazione meramente temporanea: la prognosi di irreversibilità del deficit patrimoniale prevista dalla Direttiva BRRD non coincide necessariamente con i presupposti della liquidazione coatta amministrativa, e non si può escludere che vengano assoggettate a bail-in imprese bancarie a rischio di dissesto che, alla luce di successivi eventi favorevoli, sarebbero invece riuscite a evitarlo tornando in bonis prima di essere dichiarate fallite.

Si aggiunga inoltre che il principio no creditor worse off viene meno nel caso venga richiesta e ottenuta l’esclusione di alcune passività dal bail-in; l’espressa previsione secondo cui “le passività escluse dal bail-in possono ricevere un trattamento più favorevole rispetto a quello che spetterebbe a passività ammissibili dello stesso grado o di grado sovraordinato se l'ente sottoposto a risoluzione fosse liquidato, secondo la liquidazione coatta amministrativa” (art. 49, co. 3, lettera a, D.Lgs. 180/2015), conferma l’alterazione del principio della par condicio creditorum che la nuova normativa è suscettibile di determinare.

È insomma difficile negare che con l’applicazione delle nuove regole sancite dalla Direttiva BRRD, lo “statuto” giuridico di alcune classi di creditori (tra cui gli obbligazionisti subordinati) si sia modificato, con – peraltro diseguale - aggravamento del rischio di perdita del capitale investito. E se non è questa una modifica retroattiva e forzosa (disposta ex lege) del regolamento contrattuale per i crediti già in essere al 1° gennaio 2016, non so che cosa lo sia.

A ciò si obietta comunque, come osservato in premessa, che questa modifica in peius delle prospettive di alcuni risparmiatori o investitori non sarebbe diversa da quella che si verifica ogniqualvolta venga inasprita la tassazione su un capitale produttivo, dato che anche in tal caso si verifica una riduzione del valore dell’investimento. Mi pare tuttavia che le due situazioni non siano paragonabili: un investitore, titolare di un capitale finanziario o immobiliare, sa in anticipo che le aliquote e il regime fiscale dei rendimenti futuri possono cambiare in peggio (per la verità anche in meglio), con un effetto di erosione del valore economico della fonte produttiva: ma non vi è alcuna applicazione retroattiva della (nuova) legge fiscale, che si applica ai redditi futuri e non a quelli conseguiti in passato.

Ben diversa è invece la situazione nel bail-in, in cui la diminuita tutela giuridica per i crediti subordinati già in essere assume una valenza retroattiva, in spregio al grandfathering, né vi era possibilità di prevedere, prima della Direttiva BRRD, che sarebbe stata inoculata nel sistema una forzosa compressione dei diritti proprietari e delle tutele giuridiche a questi accordate. Nel caso dell’aggravio di tassazione dei redditi fondati vi è un effetto indiretto di riduzione del valore economico della fonte produttiva; con il bail-in possono invece essere direttamente alterati se non forzosamente estinti i diritti e le aspettative giuridicamente tutelate dei creditori che vi sono soggetti.