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Da una sommaria e generica ricerca svolta nell’Archivio delle Costituzioni storiche, che si trova presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Torino, emerge con tutta evidenza l’importanza che ogni formazione sociale ha voluto attribuire – prendendo spunto dalle Costituzioni della Rivoluzione francese – alla sicurezza e alla proprietà.

Difatti, nel definire i criteri fondamentali dell'ordinamento giuridico, viene riconosciuta a tali istituti, unitamente ad altri, il primato tra i diritti dell’uomo. In tal senso la Costituzione di Bologna del 1796 recitava “I diritti dell’uomo vivente in società sono la libertà, l’uguaglianza, la sicurezza, la proprietà”. Tutela ribadita al punto IX della Costituzione medesima, che fa dovere del cittadino concorrere alla loro conservazione. All’istituto della proprietà viene riconosciuta una notevole rilevanza economica e sociale, così l’VIII disposizione sanciva ”La conservazione della proprietà è la base su cui poggia l’agricoltura, il commercio, ogni maniera di industria e tutto l’ordine sociale”.

Molteplici Carte Fondamentali attribuivano una salvaguardia particolare all’inviolabilità del domicilio; nelle Disposizioni generali e provvisionali della citata Costituzione di Bologna, all’articolo 253 si disponeva che: “In tempo di notte niuno ha il diritto di entrare in casa d’alcun cittadino, se non nei casi di incendio, d’inondazione, o di reclamo proveniente dall’interno della casa. Neppure le autorità costituite hanno diritto di farvi eseguire in tempo di notte gli ordini loro, salvo il caso di delitto atrocissimo, o di Stato”. Nella Costituzione della Repubblica Romana (2.marzo.1798) si aggiungeva, inoltre, anche il divieto di perquisizione nelle ore diurne all’autorità costituita se non nei casi previsti dalla legge (Titolo XIV Disposizioni generali, articolo 348).

Anche la Costituzione della Repubblica italiana, nella Parte I, Titolo III (Rapporti economici), articolo 12 dispone che la proprietà pubblica o privata è riconosciuta e garantita dalla legge. Nella medesima Parte I, al Titolo I (Rapporti civili) essa sancisce, all’articolo 14, tra l’altro, l’inviolabilità del domicilio, riconoscendo e tutelando, in tal modo, il diritto alla riservatezza, salvo i casi previsti dalla legge e con preventivo o successivo sindacato dell’autorità giudiziaria.

Da mesi i componenti della II Commissione Giustizia della Camera si stanno confrontando sulle molteplici proposte di legge di iniziativa parlamentare, provenienti da esponenti di maggioranza e di opposizione, volte ad apportare modifiche all’articolo 52 del codice penale in materia di difesa legittima. Dottrina e giurisprudenza hanno appena metabolizzato le modifiche apportate all’istituto con la legge n. 59 del 13 febbraio 2006, con la quale sono stati introdotti, al citato articolo 52, con riferimento al diritto di autotutela in un privato domicilio, due nuovi commi, il 2 ed il 3.

Tra i contributi offerti alla Commissione, nell’ambito dell’attività conoscitiva svolta in via preliminare all’esame dei testi veri e propri, è opportuno segnalare l’intervento del professore Tullio Padovani della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa che ha posto l’accento su alcuni aspetti condivisibili. Innanzitutto la difesa legittima così come riportata nel codice rappresenta, chiaramente, una forma di autotutela sussidiaria privata che sopperisce all’impossibilità dell’ordinamento di fornire una protezione avverso l’azione antigiuridica posta in essere da un agente aggressore.

L’articolo 52, secondo l’eminente giurista, può essere considerato un atto di giustizia sociale, nel senso che il precetto che vi contenuto è posto a tutela dell’ordinamento. A tal proposito Hegel sosteneva che l’illecito non dovesse mai prevalere per nessun motivo. L’autotutela privata, contenuta nel citato articolo 52, prosegue Padovani, viene indirettamente in soccorso difensivo dell’ordinamento, per evitare che tale principio non sia rispettato. Con riferimento alle modifiche contenute nelle proposte di legge all’esame, viene messo in evidenza che esse afferiscono all’articolo 52 del Codice Rocco (che nonostante la riforma del 2006 conserva ancora notevoli incertezza interpretative ed applicative) ma, in realtà, dovrebbero essere poste in relazione alle situazioni soggettive che meglio specificano la fattispecie delittuosa della difesa legittima, ossia a quelle disciplinate, rispettivamente, dall’articolo 55 (eccesso colposo) e dall’articolo 59, comma 4 (circostanze non conosciute o erroneamente supposte).

Il dibattito parlamentare si è però spostato sul piano ideologico e ha visto contrapporsi, da una parte, quanti intendono trasporre nel nostro ordinamento un principio presente nella legislazione di altri Paesi europei con una presunzione di legittima difesa, e pertanto la non punibilità, per gli atti diretti a respingere l’ingresso di sconosciuti in una abitazione privata con violenza o minaccia e dall’altra, invece, quanti sostengono la non punibilità della vittima nell’eventualità in cui dimostrasse di essersi trovata in uno stato di “grave turbamento psichico” rimettendo alla valutazione del giudice ciò che è indimostrabile.

Comunque, quali che possano essere i diversi orientamenti dottrinali, non v'è dubbio che il cittadino abbia il diritto di tutelare l’incolumità propria e dei familiari e i propri beni riconoscendo come difesa legittima la sua reazione senza che si possa pretendere una preventiva valutazione sull’effettivo grado di pericolosità incombente da parte dell’aggressore. In sostanza si tratterebbe di estendere la presunzione legale di proporzionalità della difesa rispetto all’offesa – di cui al secondo comma del citato articolo 52 cp – anche al pericolo di aggressione, escludendola soltanto in caso di desistenza.