Omicidio stradale manifest

Quando una riforma è accompagnata da enfasi mediatica, solo un ingenuo può sperare che l’analisi razionale prevalga sulle pulsioni emotive, tanto più se il tema evoca immagini di morte e storie di vite spezzate.

Anche la persona più aperta, democratica e liberale faticherà non poco ad analizzare le norme derivanti dall’introduzione del reato di “omicidio stradale” da un punto di vista diverso da quello della vittima, e nell’identificazione - del tutto comprensibile - con la vittima faticherà altrettanto a sottrarsi a quel paradigma tipico del populismo penale, mai messo in dubbio nei talk show, che fa meccanicamente coincidere la prevenzione del fenomeno degli incidenti mortali con l’aumento delle pene per chi li provoca.

Senza troppe speranze di contribuire ad arginare l’onda di plebiscitario consenso che accompagna la riforma, penso valga la pena sollevare qualche motivo di perplessità, soffermando l’attenzione sugli effetti derivanti da norme tanto popolari quanto poco meditate, più che sulle lodevoli intenzioni preventive.

Automatismo è la pericolosa parola chiave della riforma. Dico pericolosa perché il legislatore, in linea con il sentimento diffuso, pare avere presente esclusivamente alcuni casi limite balzati agli onori delle cronache, in cui le morti sono conseguenza di gravissime infrazioni del codice stradale commesse da chi si mette alla guida strapieno di alcol o droga, magari dandosi subito dopo alla fuga.

Occorre premettere che, in base alle attuali norme del codice penale in materia di omicidio colposo, anche senza l’esplicita introduzione del reato di omicidio stradale (il cui testo attende il via libera del Senato per diventare definitivo), è già possibile sanzionare pesantemente simili comportamenti, arrivando ad irrogare fino a 15 anni di reclusione. Non si può, tuttavia, negare che siano capitati casi - ampiamente amplificati dai media - in cui gravissimi comportamenti sono stati sanzionati con pene lievi. La proclamata necessità di rivedere le norme nasce dalla eco che simili casi hanno suscitato negli organi di informazione.

Nel rivederle si impone, però, una domanda: per evitare pene lievi in casi molto gravi siamo disposti a rischiare di vedere applicate pene sproporzionate anche in casi meno gravi? Per rispondere alla domanda è necessario sciogliere un nodo di fondo, vale a dire cosa si debba intendere per gravità in un reato colposo.

Se la gravità si riferisce all’effetto dell’azione è chiaro che, in tema di omicidio, tutti i casi sono gravi perché hanno provocato la morte di almeno una persona. Se, invece, la gravità si riferisce alla condotta, cioè al grado di imprudenza, negligenza, imperizia ovvero di trasgressione alle norme del codice della strada, il giudizio cambia, perché una piccola violazione di una regola può comportare effetti letali mentre una grossa infrazione effetti lievi o nulli.

A prima vista, il testo che introduce l’omicidio stradale approvato dalla Camera parrebbe sanzionare esclusivamente gravi violazioni che comportano gravi conseguenze. Anche la stampa, nell’illustrare il provvedimento, ha dato ampio risalto all’aumento delle pene per chi guida ubriaco o dopo aver assunto droghe.

Non si può, tuttavia, non notare che la tecnica adottata dal legislatore, attraverso l’introduzione di automatismi sanzionatori che limitano la discrezionalità dei giudici ed elevano i minimi della pena, è tutt’altro che convincente laddove lo schematismo rischia di perdere di vista la peculiarità del caso concreto.

L’omicidio stradale non comprende, infatti, solo i casi di chi guida con elevato tasso alcolemico o sotto l’effetto di droghe (casi che presuppongono una condotta volontaria precedente) ma viene esteso, con pene elevatissime (da 5 a 10 anni), anche a chi provoca incidenti passando col rosso al semaforo o facendo inversione di marcia in corrispondenza di una curva o dopo aver effettuato un sorpasso con segnaletica orizzontale di linea continua ovvero ancora per chi circola in contromano o in eccesso di velocità.

Comprendo come sia difficile provare empatia con chi si rende responsabile di simili condotte pericolose alla guida. Rilevo, tuttavia, che l’ambito di estensione della norma è tale da includere, accanto agli atti di imprudenza volontaria, anche le gravi disattenzioni.

La sproporzione di pena e la conseguente irragionevolezza della norma risultano chiare se si riflette sul fatto che imboccare una via in contromano (a chi non è mai capitato guidando?) può costare dieci anni di carcere (come un omicidio preterintenzionale e più di un tentato omicidio premeditato), mentre lasciare incustodita un’arma in una stanza piena di bambini avrà come presumibile effetto, in caso di incidente mortale, una condanna a qualche mese con la condizionale.

Segnalo brevemente anche altre due evidenti sproporzioni che risultano dalla lettura del testo: gli aumenti di pena fino al triplo per il caso di morti o lesioni plurime e la durata della revoca della patente.

Quest’ultimo profilo, in particolare, merita attenzione perché gli effetti delle scelte sono paradossali ed in totale conflitto con le proclamate finalità di prevenzione: è prevista, infatti, l’impossibilità di conseguire la patente nei dieci anni successivi alla revoca per chi provoca un incidente dopo aver attraversato l’incrocio con semaforo rosso o dopo aver commesso una delle altre condotte (dall’eccesso di velocità, al contromano, al sorpasso con linea continua ecc.) e nei dodici anni successivi se ad una di queste condotte si aggiunge la fuga dopo l’incidente.

A prescindere dal fatto che dieci anni senza patente sono comunque troppi e determinano l’impossibilità pratica di trovare un qualsiasi lavoro con conseguente espulsione dal circuito della vita civile, il legislatore, in maniera del tutto inintenzionale, finisce per incentivare la cattiva tentazione della fuga dopo l’incidente con la speranza di “farla franca”, non essendo la sanzione prevista significativamente diversa dall’ipotesi base. Il buon senso avrebbe dovuto imporre, al contrario, di distinguere con maggiore nettezza tra chi scappa e chi presta assistenza.

Gli effetti del populismo penale sono questi: affidarsi esclusivamente all’inasprimento generalizzato delle sanzioni - presentate come la panacea per scongiurare i fenomeni - significa perdere di vista la necessità della modulazione delle pene in relazione al contesto concreto ed alla gravità dei comportamenti. Con il risultato di incentivare, nei fatti, gesti criminali come l’omissione di soccorso; condotta – questa sì – cosciente e volontaria e non frutto di mera disattenzione alla guida.

Una maggiore ponderazione sarebbe, dunque, quanto mai auspicabile nel definitivo passaggio al Senato ma presupporrebbe un ripensamento dell’ideologia di fondo della norma, perché la realtà è sempre più complessa degli schemi astratti ed è facile profezia immaginare, nel prossimo futuro, che alle vite rovinate delle vittime si aggiungano quelle di persone perbene che, senza volere, hanno provocato un incidente.