papa sinodo

(Public Policy - stradeonline.it) Roma, 26 Ott - Il controverso pareggio che ha chiuso il Sinodo sulla questione della comunione ai divorziati conviventi o risposati suggerisce l'ipotesi che l'accordo tra conservatori e innovatori porterà, per i prossimi anni, a una Chiesa a geometria variabile che, a seconda dei contesti socio-culturali e alla prevalenza dell'uno o dell'altro "partito", mostrerà un grado diverso di comprensione o intransigenza sul tema dell'indissolubilità della famiglia.

Questa ipotesi è confermata indirettamente da un altro indizio, solo apparentemente tecnico, che riguarda la nuova disciplina delle cause di nullità matrimoniale, promulgata dal Motu Proprio "Mitis Iudex Dominus Iesus" di Papa Francesco dell'8 settembre 2015, le cui norme entreranno in vigore il prossimo 8 dicembre, data di inizio del Giubileo.  Il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, che è l'organo competente a proporre l'interpretazione autentica della legislazione della Chiesa, con un parere del 13 ottobre ha clamorosamente escluso l'applicabilità in Italia del nucleo principale della riforma bergogliana, cioè la responsabilità e centralità del Vescovo diocesano nel nuovo processo di nullità del matrimonio.

Il Motu Proprio di Francesco infatti prevedeva esplicitamente che " il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo" sia "per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati" e auspicava che "nelle grandi come nelle piccole diocesi lo stesso Vescovo offra un segno della conversione delle strutture ecclesiastiche e non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale. Ciò valga specialmente nel processo più breve, che viene stabilito per risolvere i casi di nullità più evidente." Perché però i cattolici italiani non dovrebbero beneficiare del processo semplificato, abbreviato e gratuito in cui secondo Papa Francesco la potestà giurisdizionale e la cura pastorale sarebbero tornate a ricongiungersi in capo al Vescovo?

La ragione giuridica è rintracciata dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi in un principio generale del diritto canonico, secondo cui la legislazione universale non deroga affatto a quella particolare o speciale, laddove tale deroga non sia espressamente prevista. Fino ad oggi la materia era disciplinata per l'Italia da quanto stabilito da Pio XI nel 1938 con il Motu Proprio "Qua cura" e affidata alla giurisdizione di speciali tribunali regionali interdiocesani. Tutta la normativa relativa all'istituzione, alla composizione e al funzionamento di questi tribunali rimane in piedi perché Papa Francesco nel suo Motu Proprio non fa alcun cenno ad essa. Dunque, non è possibile per i Vescovi istituire i nuovi tribunali diocesani, né farsi direttamente giudici delle cause di nullità. Anzi, gli "Ecc.mi Vescovi che eventualmente ritenessero di dovere recedere dai tribunali regionali dovranno ottenere la relativa 'dispensa' dalla Santa Sede".

Le ragioni politiche di questa chiusura hanno evidentemente a che fare con la resistenza della parte "tricolore" della Curia, oltre che della Cei, alle innovazioni di Bergoglio. Il nuovo processo rischiava di aprire una strada, quella dei processi di nullità, che i cattolici italiani giudicano ormai lunga, costosa e sostanzialmente impercorribile, per molteplici ragioni. La giurisprudenza dei tribunali è restrittiva e l'utilità pratica di una sentenza di nullità è sempre più dubbia, dacché i tribunali italiani hanno iniziato a non dare per scontato il totale annullamento degli effetti civili del matrimonio dichiarato nullo, secondo quanto previsto dalla legislazione concordataria. Una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (n° 16379 17/07/2014) ha infine stabilito il principio che non può essere dichiarata efficace ai fini civili la sentenza di nullità di matrimonio pronunciata dal Tribunale ecclesiastico quando la convivenza dei coniugi si sia protratta per oltre un triennio. Il risultato è che nell'ultimo decennio le cause introdotte sono poche migliaia all'anno, e in costante discesa

Con la riforma di Bergoglio, molti cattolici in Italia avrebbero invece potuto usare il processo di nullità davanti al Vescovo non come alternativa al divorzio civile, ma come percorso di piena riammissione nella comunità della Chiesa. La questione della comunione ai divorziati, affidata dopo il Sinodo al discernimento del singolo sacerdote, avrebbe potuto trovare in molti casi una soluzione a monte, considerando che è stato lo stesso Pontefice nel Mitis Iudex Dominus Iesus a esplicitare i presupposti e le circostanze che rendono manifesta la nullità e breve la trattazione della causa, tra cui ad esempio "la mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze...".

Insomma, con la nuova disciplina sarebbero cresciute sia le cause, sia i matrimoni dichiarati nulli, e si sarebbero dissolte le posizioni di rendita e di potere legati ai tribunali regionali pre-riforma. Effetti che i vertici della Chiesa italiana vogliono scongiurare. È comunque ragionevole pensare che la scelta di esentare l'Italia dagli effetti della nuova disciplina, così come l'esito del Sinodo, sia una soluzione in qualche modo negoziata con il Pontefice e da lui realpoliticamente accettata. @strade_magazine

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