nozze gay Copia

Dopo la sentenza della Cedu e la tardiva (e troppo "ottimistica", ad occhio e croce) stima del MEF sulle maggiori spese connesse all'applicazione della proposta di legge sulle unioni civili in discussione al Senato (20 milioni di euro all'anno, a regime), si dovrebbe giungere, in linea con gli auspici del governo, alla rapida approvazione di un testo che metta fine alla imbarazzante eccezione italiana e definisca un quadro giuridicamente certo per realtà familiari relegate ai margini o annidate nelle intercapedini di un diritto avverso e costrette a battagliare nelle aule giudiziarie, nazionali e internazionali, per conquistare il riconoscimento negato in quelle parlamentari.

Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Forse, ma questa storia non sembra destinata a finire né troppo presto, né troppo bene, per ragioni che non hanno solo a che fare con i nemici della nuova legge.

L'ostruzionismo all'approvazione del testo in discussione al Senato - con la Commissione Giustizia trasformata nel ridotto della Valtellina per i reduci dei trionfali Family Day made in Cav. - è l'iniziativa di una minoranza rumorosa che parla a nome di una maggioranza silenziosa sempre più ipotetica e di un pensiero cattolico sull'etica sociale della famiglia, che, complice l'attuale Pontefice, la Chiesa stessa espone a sempre più liberi e spregiudicati ripensamenti.

Per la gran parte, inoltre, gli araldi della famiglia cosiddetta tradizionale e dei valori della "nostra" identità sembrano perfino inconsapevoli che è proprio la tradizione culturale dell'occidente cristiano ad evolvere in una direzione più inclusiva e ad autorizzare oggi, se non imporre, una manutenzione giuridica dell'istituto familiare coerente con i mutamenti del costume sociale. È cambiata la famiglia, perché è cambiata la società. Le leggi, come l'intendenza, seguono lungo la strada di questo cambiamento.

Continuare a considerare il riconoscimento delle unioni civili come il lusso ideologico di elite post-moderniste, chiudendo gli occhi sulle disparate famiglie cresciute intorno al guscio svuotato della famiglia cosiddetta tradizionale, significa non comprendere - o non volere accettare - che al matrimonio omosessuale si giunge proprio seguendo la rotta della rivoluzione egualitaria e paritaria che ha portato, in pochi decenni, a rivoltare come un calzino la famiglia eterosessuale.

Dal punto di vista storico, il matrimonio gay è un evidente prodotto dell'emancipazione femminile dentro la famiglia cosiddetta tradizionale. Quando sarà approvata, la legge sulle unioni gay completerà il percorso avviato con la legge di riforma del diritto di famiglia, a metà degli anni '70. Non ha alcun senso denunciare il rischio che il riconoscimento delle famiglia gay lanci un "liberi tutti" che potrebbe portare, ad esempio, alla legalizzazione della poligamia, perché si tratta di opzioni che poggiano su fondamenti civili radicalmente alternativi, in un rapporto di esplicita e reciproca ostilità.

Questo tipo di resistenza culturalmente mediocre e preconcetta alla legge in discussione al Senato non rende agevole la ricerca di compromessi e di soluzioni di mediazione sul testo, considerando che molti dei "resistenti" sono senatori di maggioranza (in una maggioranza, che, quanto ai numeri, a Palazzo Madama è abbastanza periclitante).

Ad essere sinceri, però, a complicare le cose è stata anche la scelta di andare avanti su di una proposta insieme estrema e ambigua, che sembra istituire il matrimonio gay, ma chiamandolo con un altro nome, ed esclude le adozioni, ma non la stepchild adoption, cioè l’adozione del figlio biologico o adottivo di uno dei partner da parte dell’altro e quindi, in teoria, potrebbe incentivare il ricorso alla maternità surrogata. Quella di chiedere quasi tutto per ottenere quasi niente, ingigantendo incomprensioni e equivoci, è un modo di trattare generalmente inefficiente.

Dove difetta la forza, può però soccorrere la chiarezza, che è anch'essa una sorta di forza. Se il legislatore italiano vuole seguire quello irlandese e americano e benedire le nozze gay, va bene. Se vuole fare una legge sul modello della Civil Partnership, nella sostanza, va bene lo stesso.

Ma un para-matrimonio gay, che sta in mezzo tra l'una e l'altra soluzione, non aiuta né ad affrettare i tempi, né a fugare i sospetti - agitati a gran forza dal fonte contrario - che si voglia costruire una legge per fare spazio surrettiziamente ad altro di non confessabile o non dichiarabile.

@carmelopalma