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Cosa è un “vano”? In linea di massima verrebbe da dire una stanza. Ma non è così, ed è questo alla base dell’infinita complicazione dei valori catastali per come sono stati strutturati fino ad ora. Ed è anche alla base, con le “categorie”, del principale ostacolo ad una riforma veloce ed efficiente, nonché costituzionalmente progressiva, del sistema fiscale sugli immobili.

Le tasse funzionano quando sono semplici. Per gli immobili potrebbero diventarle utilizzando la superficie ed i valori. Se ho 100 mq al centro di Roma, potrò esistere qualche differenza tra un quartiere ed un altro, tra un piano alto e basso, ma in linea di massima le compravendite dimostrano che gli immobili hanno un valore definito. Valore che la banca dati della Agenzia delle Entrate classifica nell’OMI, Osservatorio del Mercato Immobiliare, consultabile da chiunque on line. Molti criticano questi valori, che classificano da anni le compravendite effettivamente avvenute; difficile affermare che siano valori indiscutibili, ma sono certamente molto attendibili. In questa direzione si muove, e positivamente, la riforma in corso.

Dov’è allora l’ostacolo? Nel fatto che un numero sconfinato di immobili dei centri storici hanno l’antica classificazione. Dove – secondo norma - un vano è costituito da una stanza purchè sia “Utile” (segue spiegazione di “vano utile”) conteggiando un terzo alcune pertinenze (segue definizione pertinenze) tra accessori diretti, complementari e ulteriori dipendenze, da riportare alla metà più alta. Evitiamo di approfondire ma è chiara la complicazione e l’arbitrarietà. Seguono le categorie che spaziano tra “signorile, civile, economico, popolare, ultrapopolare, rurali, villini, ville e castelli”. Per chi abbia memoria della Cognizione del Dolore di Gadda abbiamo l’intero orizzonte pastufraziano.

Il problema di fondo quindi non è l’abbandono di un sistema metodologicamente ottocentesco ma la transizione al nuovo sistema. Tutti coloro che non hanno mai aggiornato la vecchia classificazione, nonostante le scadenze più volte imposte dal Ministero delle Finanze, si troverebbero improvvisamente a dover versare oneri certamente allineati al mercato, ed anche socialmente e fiscalmente corretti, ma fortemente accresciuti rispetto al valore storico. Il correttivo di abbattimento generalizzato (-30% per tutti) per mantenere la costanza del gettito e non far lievitare il carico fiscale, potrebbe portare uno sconquasso difficilmente gestibile socialmente.

I tanti che non hanno mai adeguato i parametri del proprio immobile sarebbero stangati mentre un beneficio cadrebbe su coloro che hanno riaccatastato (come obbligo di legge) il bene dopo i lavori di manutenzione. A Roma, quartiere Testaccio, dove Elsa Morante ambientò La Storia con la tristissima vita di Ida e del piccolo Useppe, le case popolari erano state assegnate agli sfollati di San Lorenzo ed altra umanità dolente. Ora è un quartiere di tendenza dove i valori a mq superano di molto la media cittadina e le poche compravendite sono assai ambite.

Ha senso che esistano ancora i vecchi parametri? Ovviamente no ed è giusto che i beneficiari della rendita di posizione urbana contribuiscano adeguatamente. Ma l’effetto sociale sarebbe devastante con la conseguente attivazione del circo mediatico. Schiere di inviati pronti a intervistare la vecchina che vive di pensione sociale (ovviamente ci sono) che talvolta sullo stesso pianerottolo dell’illustre giornalista o dell’attore premiato a Venezia. Con i parenti pronti ad incassare la plusvalenza parassitaria di posizione (con pochissima cattiveria la si può definire così) alla dolorosa dipartita del congiunto…

Insomma il caos paventato è di tipo sociale più che tecnico. E’ in arrivo un colossale scossone ad un sistema arcaico ed il timore della rivolta è forte. Ma la rottamazione del vecchio catasto è indispensabile e permetterebbe di allineare il sistema a quella che è la reale rendita urbana.

Pronti ad insorgere le corporazioni professionali più conservatrici che ignorano spesso come le metodologie di valutazione, in un mercato che vuole e deve avere chiarezza per investitori e proprietari, sono codificate con ordine da anni e non hanno mai creato eccessivi problemi.
Categorie professionali che criticando i dati OMI sostanzialmente ci raccontano che l’intera società civile italiana continua ad effettuare compravendite immobiliari attingendo alle proprie riserve in nero senza dichiararlo al fisco. Un fenomeno fortemente ridimensionato ma ancora presente in alcune aree geografiche e categorie lavorative. Non certo per i lavoratori a reddito fisso che richiedono mutui alle banche. Insomma una motivazione meschina che oltretutto, se fosse vera, andrebbe radicalmente osteggiata. E seppure fosse vero che i valori OMI sono sottostimati questo porterebbe ad una tassazione calmierata e non sovradimensionata, senza considerare che la lotta al contante va fatta in altra sede.

Ma ci sarà poi il bravo inviato santoriano o di Ballarò che scoprirà l’eccezione sbagliata senza capire che è stata avviata una grande rivoluzione amministrativa