All'indomani del referendum che ha approvato in Irlanda il riconoscimento dei matrimoni omosessuali, anche da noi qualcosa potrebbe muoversi, con il premier Renzi che annuncia passi per portare in parlamento una (prudente) legge sulle unioni civili. Purtroppo, se negli altri paesi dell'Europa occidentale l'apertura alle famiglie omoaffettive appare sempre più trasversale rispetto agli schieramenti politici, in Italia l'argomento sembra restare un tabù per la parte maggioritaria del centro-destra e della destra.

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Se qualche spiraglio si è recentemente aperto nella declinante Forza Italia, i leader più in crescita, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, si mantengono tetragoni nella loro opposizione ad un matrimonio "gender-neutral". Oltre che con classiche obiezioni di carattere etico e culturale, la resistenza alle nozze gay viene motivata anche su basi economiche. La leader di Fratelli d'Italia, ad esempio, ha dichiarato che concedere l'accesso degli omosessuali al matrimonio è inaccettabile perché rappresenterebbe "una spesa enorme per lo Stato".

Questa argomentazione, secondo cui il matrimonio gay comporta "spesa pubblica", sotto forma di pensioni di reversibilità ed altri benefit è piuttosto ricorrente ed è spesso utilizzata anche per conferire una patinatura "liberale" alla posizione "proibizionista". Tuttavia essa è contestabile, sempre sul piano liberale, sotto svariati punti di vista.

In primo luogo, occorre ricordare che gli omosessuali hanno già adesso, come tutti, il diritto di sposarsi, purché lo facciano con una persona del sesso opposto, e quindi hanno già il diritto, come tutti, di far scattare pensioni di reversibilità e simili. Nella pratica gli omosessuali non stanno chiedendo il diritto di potersi sposare, che già hanno, bensì il diritto di poter scegliere liberamente chi sposare – ed il fatto che sposino una persona dello stesso sesso non costa un euro in più allo Stato rispetto al fatto di sposare una persona del sesso opposto, cosa che ricade già oggi nella loro disponibilità legale.

Naturalmente i tradizionalisti che sostengono che il matrimonio gay sia un aggravio per lo Stato partono dal presupposto che un gay, se non può sposare una persona del proprio sesso, preferisca non sposarsi, piuttosto che contrarre un matrimonio "tra uomo e donna". Certo, si tratta di un presupposto ragionevolmente corretto, ma che evidenzia la contraddizione intellettuale di quei sostenitori del matrimonio "secondo natura" che, di fatto, per giustificare il "risparmio" sui conti pubblici sono costretti a sperare che una parte della popolazione preferisca lo status di single.

Se il problema sono le pensioni di reversibilità, in effetti, il no alle nozze gay produce un vantaggio per la casse dello Stato solo se i gay "fanno i gay". Se per pura ipotesi diventassero eterosessuali o si sposassero in modo "etero", il vantaggio sarebbe zero. Addirittura, per coerenza e per il bene delle già troppo provate casse statali, si dovrebbe paradossalmente auspicare che quante più persone possibile si "convertano" all'omosessualità, in modo che ci siano meno matrimoni possibile e quindi, in definitiva, un minore carico per l'INPS.

Naturalmente porre la questione del senso, oggi, delle pensioni di reversibilità o, comunque, dei loro criteri di erogazione è più che pertinente: si tratta, tuttavia, di un problema politicamente scorrelato rispetto al genere dei contraenti del matrimonio. 

C'è un'ultima riflessione che andrebbe fatta e che troppo spesso rimane fuori dall'equazione: malgrado alcuni sovraccarichi "statalisti" legati all'istituzione matrimoniale che in generale dovrebbero essere riconsiderati, il matrimonio genera anche importanti esternalità positive. La famiglia, infatti, rappresenta una rete fondamentale di "welfare privato" che assorbe un'infinità di piccole e grandi difficoltà personali, senza che esse si riversino all'esterno sotto forma di costi per il welfare pubblico. In più, essa garantisce un contesto di stabilità che ha buone possibilità di produrre effetti salutari anche sulla vita lavorativa.

Non si vede, allora, come si possa preferire che delle persone vivano "isolate", anziché inserite in un "progetto di vita", in una prospettiva di mutua assistenza, in un nucleo sociale che possono chiamare "casa".

Da questo punto di vista, quanto lontane appaiono le parole di Giorgia Meloni da quelle con cui il premier britannico David Cameron annunciò la sua riforma: "Il matrimonio gay non è solo una questione di uguaglianza; è anche altro: impegno. I Conservatori credono nei legami tra le persone; la società è più forte quando prendiamo impegni reciproci e ci sosteniamo a vicenda. Per questo non è che io sostenga il matrimonio gay pur essendo un Conservatore; al contrario, io sostengo il matrimonio gay proprio perché sono un Conservatore".

Insomma, il matrimonio per gli omosessuali non solo non rappresenta nessuna particolare "spesa enorme", ma, in virtù delle dinamiche virtuose che il vincolo familiare genera, ha buone possibilità di tradursi in qualche entrata in più ed in qualche esborso in meno per le casse dello Stato.