In questi giorni il Parlamento sta discutendo il testo del ddl 2994 di riforma della Scuola e le posizioni sono più divise che mai: da una parte il Governo, che ha, invano, cercato di convincere i docenti della bontà della riforma, dall'altra gli insegnanti e i loro sindacati che, con posizioni variegatissime, la vorrebbero bocciare.

buonascuola

Ma quale potrebbe essere la "buona scuola"? È quella che uscirà dal progetto del Governo o è qualcosa di molto diverso? Per dare un giudizio che non sia motivato da posizioni e idee preconcette, dobbiamo prima stabilire con chiarezza quali sono gli obiettivi di un sistema di istruzione pubblico e utilizzare quelli per valutare la riforma. Perché, dunque, finanziamo l'istruzione con denaro pubblico? I motivi sono sostanzialmente due: il primo è che in questo modo vogliamo permettere a un gran numero di persone, indipendentemente dalla loro condizione economica di partenza, di accedere a una forma di istruzione di base che permetta loro di sviluppare al pieno le proprie capacità e quindi migliorare la propria condizione sociale. Il secondo è che un un individuo che esprime pienamente il proprio potenziale non beneficia solo se stesso ma tutta la collettività. In parole semplici non contiamo le persone come bocche da sfamare (alla Malthus) ma come cervelli capaci di fiorire e diventare i prossimi Steve Jobs o Albert Einstein.

La letteratura scientifica ci dice che per raggiungere questi obiettivi il fattore di gran lunga più determinante è la qualità degli insegnanti (Si veda ad esempio questo studio di Eric A. Hanushek). I bravi insegnanti producono una didattica innovativa, aiutano a combattere la dispersione scolastica, permettono ai loro alunni di diventare cittadini informati e consapevoli e, cosa che per alcuni colleghi suonerà forse come una bestemmia, incrementare il proprio reddito futuro.

La prima domanda da farsi è quindi la seguente: il piano straordinario di assunzioni promosso dal ddl scuola va a reclutare, tra i candidati, quelli migliori? La risposta è, purtroppo, no. O almeno, non si sa. L'obiettivo del piano di assunzioni varato dal governo è, più o meno dichiaratamente, stabilizzare tutti quei docenti che fanno parte delle cosiddette GAE (graduatorie ad esaurimento), cioè che hanno conseguito l'abilitazione all'insegnamento con un percorso partito prima del 2007. Il criterio non è "di merito" ma strettamente giuridico. Ai docenti che fanno parte di quelle graduatorie i governi del passato hanno "promesso" l'assunzione ed hanno codificato questo impegno nelle leggi sulla scuola, facendolo diventare un "diritto acquisito". Nelle GAE ci sono docenti bravi e meno bravi, alcuni hanno superato una dura selezione e si sono formati in un corso durato due anni (le famigerate SSIS), altri hanno ottenuto l'abilitazione grazie a un corso riservato (il Dm 85/05), molti lavorano da anni nella scuola, altri non hanno mai messo piede in classe. Specularmente, vi è un altro esercito di insegnanti precari esclusi dalle GAE, perché si è abilitato dopo quella data, e che da anni lavora (o ha lavorato) con regolarità nella scuola. Questi docenti hanno frequentato percorsi abilitanti simili, se non addirittura equivalenti, a quelli che hanno permesso l'accesso alle GAE e quindi ora protestano perché esclusi dal piano di assunzioni e "costretti" a superare un concorso per ottenere l'agognato ruolo.

Fa male quindi il governo ad agire in questo modo? La realtà è che ci troviamo di fronte al classico nodo gordiano, che non si può sciogliere se non alla maniera di Alessandro. Se vogliamo avere, in futuro, un metodo di reclutamento dei docenti che li selezioni e formi in modo adeguato (e quanto previsto dal ddl all'articolo 21 ha queste caratteristiche), dobbiamo prima chiudere definitivamente l'esperienza delle graduatorie ad esaurimento.

Seconda domanda: la chiamata diretta da parte dei Dirigenti Scolastici garantirà a questi ultimi la possibilità di "scegliersi la squadra" più adatta a realizzare il piano dell'offerta formativa della propria scuola? Anche qui, purtroppo, la risposta è negativa, ma non per i motivi sbandierati dai docenti. Intanto non si tratta di chiamata diretta, ma di qualcosa di molto diverso. I nuovi insegnanti verranno assunti tramite concorso (tranne quelli assunti straordinariamente quest'anno) e collocati in un albo territoriale. I Dirigenti potranno pescare da questo albo per proporre gli incarichi triennali nelle proprie scuole, ma si tratta solo di "distribuzione", non di "reclutamento" e nessun insegnante presente nell'albo rimarrà senza scuola e senza stipendio (al massimo sarà assegnato d'ufficio dal Miur). Questa procedura, inoltre, riguarderà soltanto una quota marginale del corpo docente, intorno al 15%. Come si può credere che scegliendo 15 insegnanti su 100, il Dirigente sia in grado di costruirsi una squadra?

La terza questione riguarda, infine, la valutazione dei docenti. Con la "buona scuola", si dice, gli insegnanti saranno finalmente valutati e quelli più bravi riceveranno un premio monetario. Il ddl prevede che sia il Dirigente scolastico a decidere come dividere questo bonus tra i suoi docenti, utilizzando i criteri individuati da un Comitato di Valutazione in cui sono rappresentati anche genitori e studenti e motivando le scelte effettuate. Può, questo premio, stimolare i docenti a migliorare la propria didattica? Gli insegnanti dicono di no e temono, anzi, di trovarsi in balia degli umori, dei giudizi, della valutazione dei genitori e addirittura dei loro studenti. Qualche sindacalista è addirittura arrivato a dichiarare che «è impossibile valutare l'operato di chi svolge una professione intellettuale come il docente» (per gli studenti, questa ve la potete riciclare come scusa in una interrogazione).

In realtà il problema è diverso. I sistemi di incentivazione della produttività funzionano bene quando si verificano alcune condizioni: la valutazione deve essere discrezionale, chi giudica deve essere responsabile delle scelte che fa e pagarne le conseguenze e, infine, deve esserci fiducia tra chi valuta e chi viene valutato. Nella scuola italiana il rapporto di fiducia tra Dirigente e Insegnanti non esiste e nel ddl la valutazione dei docenti si è tradotta in una procedura che rischia di essere iper burocratica e falsamente oggettiva. Non mi stupirei se questi 200 milioni "per il merito", alla fine, non venissero spartiti ed elargiti equamente a tutti, per evitare grane.

In una cosa hanno ragione i docenti: è difficile valutare un insegnante e differenziare gli stipendi sulla base "del merito" può generare malcontento e tensioni tra il corpo docente. È, però, molto più facile individuare quei docenti che sono palesemente inadeguati e che non solo non aiutano gli studenti a sviluppare al pieno le loro potenzialità, ma ne danneggiano il futuro.

Eric Hanushek, nel saggio che ho linkato ad inizio articolo, scriveva che gli Stati Uniti potrebbero colmare il gap che hanno con la Finlandia nei risultati dei test Ocse-Pisa, semplicemente sostituendo il 12% di insegnanti meno performanti con dei colleghi nella media. Senza fissare delle percentuali, forse prima di iniziare a pensare come retribuire il corpo docente secondo la sua produttività, dovremmo creare un sistema effettivo per individuare ed espellere dalla scuola gli insegnanti che fanno danni.

In conclusione, il progetto del governo ha molti aspetti positivi ma spesso non riesce a raggiungere gli scopi che si è prefissato. Ha però il grande merito di affrontare e risolvere alcuni dei problemi che hanno dato alla nostra scuola una rigidità cadaverica. Forse la scuola di Renzi non sarà ancora la "buona scuola", ma di sicuro quella di oggi è peggiore.