Quando, di prima mattina, alcuni miliziani shabab hanno fatto irruzione negli edifici dell'università sparando contro tutto quello che veniva a tiro alcune studentesse, terrorizzate, si sono inginocchiate e trovandoseli davanti hanno implorato pietà, pregando a mani giunte, da cristiane quali erano. Pochi secondi dopo erano morte travolte da una raffica di proiettili. Colpevoli, senza appello. Colpevoli di essere cristiane.

Guardatele, le foto della strage all'università di Garissa. Guardatele, ma purtroppo non saranno le ultime che saremo costretti a vedere.

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Hanno ragione quanti sostengono che non è possibile spiegare tutte le stragi e le persecuzioni contro le minoranze religiose utilizzando solo la chiave di lettura del fenomeno religioso. Vi sono conflitti di natura politica, economica sui quali si innesta la variabile impazzita delle identità religiose. Tuttavia è anche vero, come ha evidenziato Joseph Maïla, che dopo la caduta del muro di Berlino e la fine delle mobilitazioni ideologiche legate alle grandi ideologie della guerra fredda l'offerta di senso lascia sempre più spazio al fattore religioso che diviene centrale nell'odierno contesto geopolitico. Da questo punto di vista il fenomeno della globalizzazione contribuisce a risvegliare identità che i deboli stati nazionali in molte parti del mondo avevano timidamente provato a seppellire e che invece, come in una notte dei morti viventi, tornano a risvegliarsi. Vi è in questo processo, come sottolinea Maïla, un risvolto freudiano. E' la rivendicazione di un narcisismo della piccola differenza declinato secondo le categorie dell'appartenenza religiosa.

L'Occidente, soprattutto l'Europa, non riesce a capire quanto sta succedendo nel mondo. Il Vecchio continente è davvero l'eccezione mondiale. Investito da un radicale processo di secolarizzazione che ha marginalizzato il fattore religioso dalla sfera pubblica e dalla vita privata degli individui, non ha le categorie concettuali e gli strumenti intellettuali per analizzare il nuovo scenario. Dall'avanzata dell'islamismo radicale a quella dell'induismo nazionalista di Narendra Modi, fino alla battaglia della Cina contro il cristianesimo che nel 2030 nel paese del dragone rischia di avere più affiliati del partito comunista. E' difficile operare in questo contesto per la tutela delle minoranze, non solo quelle religiose. E proprio da questa miopia deriva la pochezza delle politiche per la tutela per la libertà religiosa tanto a Bruxelles quanto a Roma. Non basteranno una legge o le dichiarazioni di interesse di qualche Ministro. La situazione, purtroppo, è molto più grave.