Nel giro di quattro anni e mezzo la compagnia di bandiera ha bruciato un miliardo e 138 milioni di euro, praticamente tutto il capitale immesso dai “capitani coraggiosi” e Air France tra fine 2008 ed inizio 2009.

La compagnia ha migliorato i propri conti fino al 2011, ma a partire del 2012 ha visto un vero proprio tracollo: nell’ultimo semestre ha perso quasi 300 milioni di euro, anche a causa dell’aumento delle tasse aeroportuali e di nuove tasse locali, introdotte senza pensare agli effetti negativi che hanno avuto.

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Il Piano Fenice, che doveva rilanciare la compagnia, era in effetti troppo debole e troppo basato sul mercato domestico. La flotta è troppo incentrata sul mercato nazionale ed europeo che è quello maggiormente sotto pressione da parte delle compagnie low cost. Questa debolezza deriva dall’accordo con AirOne di Carlo Toto, che aveva un contratto d’acquisto di 90 aerei a corto e medio raggio. Il mercato intercontinentale, che è il più profittevole, secondo il Piano fenice avrebbe dovuto contare solo per il 23 per cento dei ricavi, contro il 50 per cento delle maggiori compagnie europee.

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Alitalia non è più soltanto un piccolo operatore a livello europeo. Ormai anche la leadership sui voli domestici è minacciata, dato che la sua quota di mercato è scesa sotto il 22 per cento. Ryanair ed Easyjet sono in forte espansione in un mercato che continua a crescere, e che cresce nonostante la presenza di Alitalia. Dal 1997 ad oggi, il mercato aereo italiano è più che raddoppiato, passando da 53 milioni di passeggeri a 117 milioni di passeggeri annui.

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La vecchia Alitalia, alle prese con il fallimento e senza l’integrazione di AirOne, nel 2007 trasportava ancora il 23 per cento dei passeggeri italiani. In sostanza, dopo l'arrivo dei capitani coraggiosi, la compagnia ha perso quasi 10 punti percentuali di quota di mercato diventando un operatore che trasporta poco più di un quinto dei passeggeri in Italia. Non certo un operatore essenziale o insostistuibile.