Dietro ogni minore che sbarca in Italia c’è una storia di soprusi, disperazione e morte destinata a formare il suo carattere e le sue opportunità. I tutori volontari svolgono un ruolo responsabile di controllo sull’educazione, l’integrazione e l’accoglienza dei minori non accompagnati con l’attenzione per la specificità e la complessità di ogni singolo caso che una figura di tutore istituzionale non potrebbe avere.

Donatio bambino migrante

Tassere ha 17 anni, è nato in Burkina Faso e dice di provare “paura nel cuore”. Tassere è arrivato a Lampedusa su un barcone, da lì è stato trasferito a Roma in un Centro di permanenza temporaneo. Ma il ragazzo sta male, ha gli incubi, soffre di ansia. Alla psicoterapeuta, consultata dal centro, Tassere racconta una storia atroce, fatta di abusi e di torture.

Prima, a 11 anni, Tassere perde il padre in un incidente. Poi la madre, che si risposa e va vivere in un villaggio lontano con un altro uomo. Tassere resta solo: affidato alle cure di uno zio paterno che abuserà di lui per 3 lunghi anni. Ogni giorno. Finalmente se ne libera, lo denuncia, e fugge insieme allo zio materno - lo zio “buono” - prima in Costa d’Avorio e poi in Libia. Si imbarca, dunque per Lampedusa. Il suo barcone approda sull’isola, quello dello zio non arriverà mai a destinazione.

“La nazionalità del paziente”, spiega Marta Lepore, psicoterapeuta dell’Unità per la Terapia del Trauma presso il Centro Clinico De Sanctis di Roma, “incide molto sulla possibilità di instaurare una buona relazione terapeutica, primo indice di efficacia di un percorso di cura basato su empatia e fiducia nelle sue risorse”. “Se non riusciamo a creare un confine sano con il paziente, corriamo il rischio di sviluppare una traumatizzazione vicaria”. Questo vuol dire che il terapeuta diventa testimone della realtà traumatica del paziente e questa esposizione può avere effetti negativi sulla sua vita personale e professionale. Compromettendone la neutralità terapeutica.

Cosa può fare la differenza? “Una rete di supporto fatta di supervisione tra colleghi ma anche di altre forme di collaborazione con la struttura che accoglie il richiedente asilo e con figure tecniche che si occupano di lui: assistente legale, sociale, mediatore, educatore…”. Il paziente vedrà sempre nel terapeuta una figura di riferimento: in parte è e deve essere così ma, spiega Lepore, “sarebbe auspicabile la presenza di una figura "terza" che possa avere funzioni di "caregiver" ed essere un riferimento costante e personalizzato (cosa che il terapeuta non può e non deve fare)”.

Il 29 marzo 2017 è stato approvato in via definitiva il Ddl Zampa che garantisce la protezione e l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (L.47/2017). “Siamo il primo paese in Europa a essersi dotato di un sistema organico che - come spiega Raffaella Milano, Direttore dei Programmi Italia-Europa di Save the Children - considera “i bambini prima di tutto bambini, a prescindere dal loro status di migranti o rifugiati”.

Fortemente voluta da Save the Children e dalle più autorevoli organizzazioni di tutela dei minori e dei migranti, la legge promuove la figura del tutore volontario del minore non accompagnato. Gli avvisi pubblici per la presentazione delle domande sono emanati su base regionale dai Garanti regionali per l’Infanzia e l’adolescenza. Secondo il report mensile del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali i minori non accompagnati presenti sul nostro territorio al 30 settembre 2017, erano 18.491 (solo a Roma, nel 2016, se ne contavano 2.625).

“Immagina di cambiare il futuro di un ragazzo arrivato in Italia senza genitori. Immagina di insegnargli i suoi diritti, di assisterlo nelle decisioni difficili. Non è un’adozione, non è un affido, è una guida per aiutarlo a capire il Paese in cui vive. Se immaginare tutto questo ti fa sentire orgoglioso, perché non farlo?” Così la Garante Nazionale per l'Infanzia e l'Adolescenza, Filomena Albano, presentava il video per la campagna di informazione sulla possibilità di diventare tutore volontario di un minore non accompagnato. Questo succedeva poco prima dell’estate scorsa. Nel giro di pochi mesi, i numeri raccontano una partenza importante che sottolinea lo spirito civico e solidale di tante, tantissime persone. Oggi sono oltre 2.400, in tutta Italia, i cittadini candidati a diventare tutore volontario di un minore non accompagnato. L’obiettivo è che si possa avere un tutore per ciascuno di essi. Requisiti necessari: aver compiuto 25 anni, essere residenti in Italia e non avere precedenti penali.

Nel solo Lazio, le domande per diventare tutori dei minori stranieri non accompagnati sono state circa 700. A gennaio 2018, i tutor già formati sono 170 (i percorsi formativi sono della durata di 30 ore ciascuno e strutturati in tre moduli: fenomenologico, giuridico e psico-socio sanitario). Di questi, quasi tutti - 140 - hanno deciso di entrare nell'albo ufficiale del Lazio. “Sono fiducioso di dare a tutti un tutore volontario nel giro di pochi mesi”, ha detto al Corriere della Sera Jacopo Marzetti, Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Lazio.

La nuova legge, infatti, prevede la creazione, presso i Tribunali per i Minorenni, di elenchi di persone disponibili ad assumere questo incarico. La procedura per la nomina e le responsabilità del tutore restano quelle definite dal Codice civile e dal Codice di procedura civile. Il tutore “viene nominato dal Giudice tutelare ed esercita, a titolo volontario e gratuito, la responsabilità genitoriale”. Ha quindi la responsabilità di “curare gli interessi e di perseguire il benessere” del minore, che rappresenta negli atti e nei procedimenti con valore legale.

In concreto, il tutore “vigila sulle condizioni di accoglienza, sui percorsi di integrazione, educazione e protezione del minore in coordinamento con le istituzioni responsabili per queste aree, tenendo conto delle sue inclinazioni, promuovendone i diritti e prendendo sempre in attenta considerazione il suo punto di vista”. Vi sono, infine, atti per compiere i quali il tutore deve chiedere l'autorizzazione del Giudice tutelare o del Tribunale, altri di ordinaria amministrazione che può compiere in autonomia.

Durante il vertice dell’11 gennaio scorso con il Presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni, il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha lodato l’“ottimo lavoro dell’Italia sui migranti” e riaffermato la sua volontà di “mettere fine al malfunzionamento del sistema di Dublino”. Il Regolamento di Dublino prevede la possibilità, per i minori non accompagnati, di fare richiesta di asilo nello Stato membro in cui si trovano, in particolare nel caso in cui abbiano dei familiari già presenti nel paese. Peccato che le dichiarazioni del Capo dello Stato francese siano state in totale contraddizione con tutto quello che continua ad accadere, ogni giorno, al confine tra i due paesi.

Molti dei migranti e dei richiedenti asilo sbarcati in Italia vedono la Francia come la propria destinazione naturale. Provengono dalle ex colonie francesi, parlano la lingua, vogliono raggiungere parenti già presenti nel paese. Una vera e propria “emergenza umanitaria”, visti i respingimenti sistematici che la polizia francese effettua. Emergenza che coinvolge moltissimi minori non accompagnati. Se, da un punto di vista giuridico, la Francia non è obbligata ad accogliere migranti e richiedenti asilo sbarcati in Italia in forza del Trattato di Chambéry, firmato nel 1997 tra Italia e Francia - che prevede proprio la possibilità di negare l’ingresso agli stranieri irregolari - il discorso cambia per il respingimento dei minori non accompagnati delle autorità francesi. Che va contro gli obblighi internazionali, secondo cui i minori dovrebbero comunque essere presi in carico in quanto soggetti vulnerabili.

Vulnerabili con storie di morte alle spalle. Anche Yahya e sua sorella sono partiti - proprio come Tassere - dal Burkina Faso ancora bambini. Hanno attraverso il Niger fino a giungere in Libia: un terribile viaggio nel deserto, durato un mese. Oggi, nella mente di Yahya sono impresse le immagini delle tante persone morte davanti ai suoi occhi. Non solo. Durante il tragitto, davanti a lui - che aveva solo 13 anni, all’epoca - “uomini armati” hanno ripetutamente violentato sua sorella, portandogliela via. Da allora, non ha più sue notizie. Yahya è oggi in Italia e ha ottenuto lo status di rifugiato politico. Al termine del suo trattamento da disturbo post-traumatico da stress (DPTS), Yahya si è definito “un sopravvissuto perché”, dice, “la mia vita non è finita” nel deserto.

Storie come quelle di Tassere e di Yahya sollecitano esattamente un modello di genitorialità sociale a cui apre la nuova legge sui tutori volontari dei minori stranieri non accompagnati. Non una generica responsabilità sociale ma un tipo di responsabilità specifica, tanto da apparire “sussidiaria” rispetto a quella dello Stato.

Cittadini attivi che, applicando il principio di sussidiarietà (art. 118, ultimo comma della Costituzione), esercitano una nuova forma di libertà, solidale e responsabile, che ha come obiettivo la realizzazione non di interessi privati, assolutamente rispettabili e legittimi, bensì dell'interesse generale. Precisamente, una funzione di interesse pubblico che ha come oggetto attività di interesse generale.

Anche questi ragazzi hanno una responsabilità: diventare grandi nonostante il loro passato. Noi abbiamo il dovere di proteggerli e restituire loro almeno una parte di quello che abbiamo ricevuto.