La crescita basata su un’eccedenza di manodopera a basso costo rischia di rallentare bruscamente. E il modello politico del “capitalismo senza libertà” rischia di scontrarsi con le necessità di un mercato finanziario efficiente, che è indispensabile per gestire e finanziare la transizione dell’economia cinese.

della vedova muraglia cinese sito

La demografia segnerà questo secolo assai più e più visibilmente di quanto sia accaduto per quello precedente. Ad esempio, l'impatto del calo demografico europeo, accoppiato all'esplosione della popolazione in Africa da qui al 2050, porterà ad una spinta strutturale verso l'Europa di popolazioni che cercheranno di utilizzare in direzione inversa i canali tenuti aperti dalle potenze europee fino ad oltre la metà del secolo scorso, durante la stagione della dominazione e dello sfruttamento coloniale. Come dovrà atteggiarsi l'Europa, unita o frantumata da illusioni nazionaliste fuori tempo massimo per un continente destinato alla marginalità demografica, lo vedremo: è materia di altri interventi in questo numero.

In Asia, oltre che il Giappone, la sfida demografica coinvolgerà anche la Cina, la cui popolazione è previsto che nel 2050 avrà un’età media superiore a quella statunitense e di poco inferiore a quella europea. La revisione della politica del figlio unico, assai positiva sul fronte della libertà e del contrasto agli aborti selettivi delle nasciture, non sembra invece destinata a dare risultati tali da contrastare le tendenze di fondo della demografia cinese.

Mentre il mondo guarda ai dati sulla crescita di Pechino semestre per semestre, cercando di coglierne l'impatto sulla crescita mondiale, la sfida della leadership cinese è prevalentemente interna e di medio periodo. Come garantire, in presenza di un potente rallentamento demografico, una crescita economica tale da produrre ancora aumenti sostanziali nel reddito procapite e finanziare gli incrementi di spesa sociale necessari a sostenere una crescente massa di popolazione anziana residente nelle megalopoli?

Le riforme nel settore produttivo, una più accelerata fuoriuscita dello Stato e del Partito dalla gestione delle grandi aziende, la piena liberalizzazione del settore finanziario, il continuo aumento dei livelli di istruzione delle nuove generazioni, gli investimenti in ricerca, la lotta alla corruzione e la ricerca di sempre maggiore efficienza sono riforme dal lato dell'offerta che, certamente, potranno dare risultati importanti, anche se non immediati.

Un contributo decisivo alla competitività e al dinamismo della manifattura cinese, però, fino ad oggi lo hanno dato i milioni di lavoratori accorsi dalle campagne per alimentare l'offerta di lavoro destinata a soddisfare una domanda in continua crescita per la "fabbrica del mondo".

Questo bacino sta per esaurirsi e rischia di intrappolare la Cina, secondo i parametri del modello di sviluppo di Lewis (Nobel per l'economia di origini caraibiche), che prevede che il reddito di sussistenza della manodopera agricola in eccedenza tenga bassi i salari nei settori più avanzati dell'economia, garantendo competitività e crescita. Quando però la manodopera proveniente dalle aree agricole comincia a scarseggiare, i salari negli altri settori crescono, provocando la diminuzione dei profitti, degli investimenti, della competitività e della crescita. In Cina tutto questo, in ragione della dinamica demografica e del basso tasso di disoccupazione - che secondo il FMI si attesa attorno al 4,2% e che potremmo definire frizionale - rischia di accadere troppo presto.

Una crisi economica, o semplicemente un drastico rallentamento della crescita, metterebbe probabilmente in pericolo perfino il granitico potere del Partito Comunista, oggi guidato da Xi Jinping. Una delle decisioni strategiche della leadership cinese sembra essere quella di convogliare il risparmio privato dell’emergente middle class verso il mercato finanziario domestico e la borsa di Shanghai per finanziare la crescita e mantenerla su ritmi elevati.

Ma, come si è visto in questi mesi, l'esperimento sembra dare esiti deludenti. La domanda è questa: un mercato finanziario di massa, basato sulle decisioni quotidiane di milioni di operatori che comprano e vendono, può funzionare secondo meccanismi dirigisti? In altre parole, senza una informazione economica libera, può il mercato finanziario conquistare la fiducia dei risparmiatori superando le incertezze legate alle asimmetrie informative presenti nel sistema e resistere alle fisiologiche onde cicliche di rialzi e ribassi?

Se il decisore di ultima istanza (o consigliere su cosa acquistare) è unico e coincide - in palese conflitto di interessi - con la leadership politica, il mercato finanziario potrà svolgere la sua funzione di finanziare la creazione di valore da parte delle imprese private? Io credo di no. In effetti, in tali condizioni e a tale stadio di sviluppo dell’economia e della società cinese, il potere informativo di cui dispone la governance politica rischia di tradursi in una superiorità apparente che, in realtà, potrebbe compromettere il raggiungimento degli stessi obiettivi di crescita economica e stabilità sociale perseguiti dal Governo. E anche se è prematuro trarre conseguenze dai fatti di questi mesi, credo che per la leadership di Pechino si stia ponendo il tema delle aperture politiche e del sistema dell'informazione come opportunità per la crescita e la tenuta sociale del Paese e non più come rischio esistenziale, come era stato considerato.

Certo, probabilmente tutto ciò assomiglia più a un wishful thinking che a una tendenza in atto, ma resta il fatto che il modello cinese di capitalismo senza libertà politiche rischia di scontrarsi con le necessità di un mercato finanziario efficiente.

Il banco di prova della leadership cinese sarà, peraltro, costituito dall’internazionalizzazione del renminbi, processo che richiede la completa liberalizzazione dei movimenti dei capitali. Una volta riconosciuto il diritto di investire all’estero, i residenti possono esprimere il grado di fiducia nei confronti delle politiche economiche attuate dagli esecutivi anche dando o meno indicazioni alle banche di inviare i risparmi su conti detenuti all’estero.

I deflussi dei capitali cinesi registrati recentemente testimoniano la scarsa fiducia di una parte dei risparmiatori nelle politiche economiche governative e nell'assetto dei mercati finanziari.

La flessione dei corsi di borsa avvenuta ultimamente, e i massicci deflussi dei capitali, suggeriscono che, per ora, il modello politico cinese non è sufficientemente rassicurante per i risparmiatori cinesi, che preferiscono diversificare il rischio politico esportando i capitali. Il deprezzamento della valuta cinese mostra, inoltre, che la sfiducia dei risparmiatori residenti non è compensata da una maggior fiducia degli investitori esteri. La fiducia si ottiene garantendo elevati livelli di trasparenza sia sui dati economici, sia sui processi decisionali. In assenza di adeguati livelli di disclosure, i mercati hanno difficoltà a svilupparsi e lasciano spazi solo all’insider trading.

In definitiva, i fenomeni demografici in atto avranno il potere di moltiplicare la forza o la debolezza dell’efficacia delle politiche economiche e sociali adottate nei vari Paesi che dovranno gestire il fenomeno. Ma non solo.
Sarà proprio l’evoluzione dei trend demografici a testare la tenuta degli ordinamenti politici e dei valori sottostanti alle politiche adottate dai governi attuali.