«You feel humanity» - senti l'umanità. Così uno dei 27 studenti dell'Università Al-Quds ha commentato il viaggio, il primo della storia, di un gruppo di giovani palestinesi in un campo di concentramento. Ad Auschwitz. «Conoscere la sofferenza degli ebrei – ha dichiarato al Washington Post –  non mi ha reso meno patriottico, però mi ha cambiato la vita»

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Questo viaggio ha cambiato la vita, a quanto pare, anche a Mohammed S. Dajani, direttore dell'American Studies Department dell'Università Al-Quds, fondatore del al-Wasatia Movement – movimento per l'Islam moderato - e  ideatore della visita.  Accusato su Facebook e Twitter di essere un traditore, aggredito in tv e sui giornali nazionali come colpevole di sostenere Israele, allontanato dall'Università – che ha bollato il viaggio come iniziativa personale - Dajani, però, non si pente e dichiara: «Non mi nasconderò, non rinnegherò, non starò in silenzio. Non rimarrò a guardare le vittime della sofferenza nemmeno se si tratta di chi occupa le mie terre».

Empatia. Ecco come si chiama il sentimento che il professore descrive e che ha voluto suscitare negli studenti – 33 all'inizio, finché 5 non hanno rinunciato al viaggio su pressione delle famiglie. Dajani, oggi accusato di “sostegno al nemico”, è infatti da tempo convinto della necessità per i giovani palestinesi di conoscere l'olocausto. Se già nell'articolo, pubblicato dal New York Times, Why Palestinians Should Learn about the Holocaust  ha elencato le ragioni della sua convinzione – la necessità di migliorare i libri di storia arabi, oggi troppo simili a lunghi necrologi di dinastie, e quella di conoscere una tragedia per evitarla in futuro – un motivo conta più degli altri per il professore: ammettere il genocidio ebraico serve a stimolare empatia. Uno strumento fondamentale per la risoluzione dei conflitti.

Ne sono convinti anche i ricercatori del Center of Reconciliation Studies, dell'Università di Jena, promotori di Hearts of Flesh- Not Stone, progetto di studio e ricerca sull'empatia, promotori e finanziatori del viaggio di Dajani – e anche della visita di un gruppo di studenti israeliani al campo profughi di Dheisheh, a sud di Betlemme, simbolo della Nakba palestinese, letteralmente la catastrofe, l'inizio delle occupazioni nel 1948. Il programma già dal nome, ispirato a un passaggio del Libro di Ezechiele, ha un obiettivo chiaro: rendere più sensibili i cuori, capire come fattori psicologici e emotivi possano aiutare i popoli in lotta a trovare un obiettivo comune, un terreno di confronto.

Per farlo i ricercatori dell'Università di Jena, adottano la Hölderlin-perspective, il punto di vista di  Hölderlin. L'autore tedesco, infatti, scrisse nella conclusione dell'Hyperion: «La riconciliazione è al centro di ogni conflitto». Esiste, quindi, già nella lotta la possibilità della pace. Si nasconde, però, dietro i bias culturali, i pregiudizi. Ma la cultura di un popolo non è rigida, i germi del cambiamento sono diffusi, frammentati, vanno studiati, promossi, favoriti. Sono le persone in disaccordo, chi cerca la cooperazione, chi vuole trovare con gli oppositori un terreno comune ed è pronto a guardare il mondo con gli occhi degli altri. Proprio come ha cercato di fare Dajani con i suoi studenti. Ha adottato un approccio non solo già sperimentato ma anche avvalorato dalle più recenti ricerche in ambito neurologico.

Uno studio pubblicato nel 2013 dal Journal of Neuroscience, e condotto dalla SISSA di Trieste e dal Max Planck Institute di Leipzig, ha infatti dimostrato come il cervello può scegliere di attivare l'empatia, sospendendo uno stato emotivo temporaneo per correggere la valutazione che abbiamo degli altri. Ognuno di noi, infatti, è vittima dell'egocentrismo emotivo: l'umore che proviamo in un determinato momento ci induce a proiettare sugli altri le nostre stesse sensazioni e a guardarli in base al nostro stato emotivo. Siamo a una festa? Pensiamo che tutti dovrebbero essere allegri. Se siamo invece tristi guardiamo i nostri colleghi, per esempio, come vittime della stessa malinconia. Ma il cervello si accorge del trucchetto, sospende lo stato emotivo, e ci spinge a metterci nei panni dell'altro, per comprenderlo meglio. In sostanza: abbiamo la possibilità di riconsiderare l'umanità, possiamo cambiare prospettiva sugli altri e sul mondo. 1xbet bonus offers are also available in many different sports and casino markets. Promotion rewards include cashback, double winnings, no-risk bets, and prize draws. Casino markets range from slots to live games, while sports bonuses cover everything from esports to world-famous events.The 1xbet promo code allow users to claim rewards while registering. Depending on the code you use, you can receive everything from casino bonuses like free spins to sports bonuses like free bets. As a result, 1xbet promo codes apply to various markets, and there are even unique codes exclusive to certain countries.

Se il professor Dajani ci ha provato non è il solo, però. Un esempio diffuso e praticato, ad esempio, dalla ONG Search For Common Ground, per la risoluzione dei conflitti è il teatro partecipativo. Durante la rappresentazione di una storia, basata su un problema reale e concreto che coinvolge gli uditori, il pubblico interagisce, cambia il racconto, orienta i comportamenti dei protagonisti, interviene e decide come va a finire. Spesso chi interviene lo fa con dolore. È accaduto per esempio in Ruanda, dove Tutsi e Hutu hanno interpretato persone dell'altra etnia, per capire, così, che la rabbia, la sofferenza, la paura sono sempre le stesse. Indipendentemente dal cognome che portiamo e dalla famiglia di cui siamo parte.

L'empatia, però, funziona? Ci rende davvero più capaci di comprendere nel profondo, e non solo in modo superficiale, le ragioni dell'altro? A sentire gli studenti della al-Quds University sembrerebbe di sì. Zeina M. Barakat, studentessa del professore Dajani, ha scritto infatti al The Atlantic, per difendere il proprio mentore: il viaggio ad Auschwitz, ha spiegato, non ha avuto un fine politico ma educativo. E ha usato la metafora della grotta di Platone: è come se Dajani avesse preso per mano gli studenti, chiusi dentro la caverna, costretti a vedere solo l'ombra della realtà. E li ha portati fuori, alla luce. «Cosa abbiamo fatto? - chiede allora Barakat – Una cosa semplice. Abbiamo solo lasciato la caverna»