Studi e ricerche recenti tentano di disegnare caratteri e tipologia dei contenitori museali e dei loro beni. Lo scopo quello di sprigionare le loro potenzialità, spesso inespresse. I musei non sono solo parti delle nostre città e dei nostri territori. Sono anche e soprattutto straordinarie occasioni per rinsaldare tessuti lacerati. 

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Da un lato Virgil Oldman, il battitore d’aste che nel film del 2013 di Tornatore, “La migliore offerta”, ha raccolta in una stanza segreta della sua casa una collezione impressionante di ritratti di donna. Che solo lui può ammirare. Dall’altro i portici che delimitavano il Templum Pacis, uno dei più grandi complessi forensi della Roma imperiale, nei quali erano esposte al pubblico godimento un numero cospicuo di opere d’arte. Per certi versi, esempi illuminanti, opposti e lontani, di cosa possa rappresentare lo spazio museale. L’alfa e l’omega anche per quel che riguarda la dislocazione topografica. Con un ruolo, in ogni caso, più che centrale negli interessi umani.

I musei in Italia sono un universo inesplorato nel quale la miriade di spazi locali sembra quasi soffocata da quelli più noti, all’interno dei grandi centri urbani. Ma non tutti. La proliferazione di nuovi musei, accanto alla pletora di quelli di più antica istituzione, ha evidentemente risposto alle esigenze “di campanile”, allargando inequivocabilmente l’offerta, ma ha anche ulteriormente diluito le già esigue risorse sulle quali far conto e contribuendo ad accrescere guasti nel servizio. Al punto da provocare gesti estremi, come quello di Antonio Manfredi, direttore del Cam di Casoria, che nell’aprile 2012 spaventato dalla ventilata chiusura del museo minacciò che avrebbe bruciato le opere. Promessa mantenuta. Ad andare in fumo l’opera di Severine Bourguignon, che ha assistito via Internet alla fine della sua creazione.

Una situazione generale più che critica. Anche, forse, per la mancanza finora di  un censimento dello status quo, di un’analisi complessiva dell’esistente e delle condizioni nelle quali si trova. A colmare questa lacuna provvede l’Indagine statistica sui musei e sugli Istituti similari, effettuata dall’Istat in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, le Regioni e le Province autonome. Un’iniziativa avviata da un Protocollo d’intesa approvato in sede di Conferenza Stato-Regioni e finalizzata alla costruzione di un sistema informativo nazionale sui musei italiani e le istituzioni similari. La rilevazione a carattere totale, relativa al 2011, è stata effettuata attraverso la compilazione on line di questionari in formato elettronico ed ha interessato per la prima volta tutti gli istituti, sia statali sia non statali, di diversa tipologia e dimensione, aperti al pubblico con modalità di fruizione regolamentata.

Non soltanto la caratteristica strutturale e la tipologia dei beni e dei loro “contenitori”, la proprietà e la gestione, le risorse umane e finanziarie, ma anche le attività culturali e i servizi per il pubblico, il numero annuo di visitatori e la loro composizione, senza trascurare i rapporti con il territorio. Insomma un progetto pensato e realizzato, soprattutto di evidente utilità, non una riedizione della dispendiosa e perlopiù inutile operazione “Giacimenti culturali” che a partire dal 1986 assorbì 1200 miliardi di lire per una catalogazione, parziale, dei Beni culturali. Così scorrendo il report si parte dal numero dei musei e gli istituti similari, pubblici e privati (4.588), dei quali la maggior parte riguardante musei, gallerie e collezioni (3.847) e parti più esigue di aree o parchi archeologici (240) e di monumenti e complessi monumentali (501). Cifre che dimostrano quanto i musei costituiscano un patrimonio diffuso, quantificabile in 1,5 ogni 100 kmq, circa uno ogni 13mila abitanti. Le regioni con il maggior numero di istituti risultano la Toscana (550), l’Emilia-Romagna (440) e il Piemonte (397). Nel Sud e nelle isole è concentrato il 52,1% delle aree archeologiche, mentre al Nord sono localizzati il 48% dei musei e il 43,1% dei monumenti.

Secondo la rilevazione il pubblico tende a concentrarsi tra poche destinazioni. Con tre Regioni che si assicurano il 51% degli ingressi, la Toscana il 22,1%, il Lazio il 20,1% e la Lombardia l’8,8%.  Procedendo, si legge come i primi 15 musei e istituti similari nel 2011 hanno registrato circa un milione di ingressi ciascuno e complessivamente hanno assorbito quasi un terzo dei visitatori. La maggior parte dei musei (il 63,8%) è di proprietà pubblica. Ben 1.909 istituti, pari al 41,6% del totale, appartengono ai Comuni e solo il 9% al Ministero competente. Con un dato inequivocabile: ad attrarre sono soprattutto i musei statali, con più di 40 milioni di visitatori (il 38,8% del totale).  Quanto agli introiti, in quasi la metà degli istituti italiani (49%), l’ingresso è gratuito. Per un terzo degli istituti l’incasso annuo derivante dai biglietti non supera i 20.000 euro. Se complessivamente un quarto degli enti realizza non più di 10 mila euro all’anno, le megastrutture, con oltre 500.000 visitatori, arrivano ad incassare ognuna oltre un milione di euro.

L’Italia, famosa nel mondo per i suoi monumenti e i suoi musei, naturalmente, conterà su un numero straordinario di visitatori stranieri. Errore: soltanto il 44,9% dei visitatori è straniero. Per oltre la metà degli istituti (53,3%) gli stranieri rappresentano una componente minoritaria, non più del 10%. Le ragioni di questo default? Diverse, probabilmente. Di certo contribuisce la constatazione che soltanto in poco più del 40% delle strutture espositive è presente personale in grado di fornire informazioni in lingua inglese. Così non può ritenersi ininfluente che la maggior parte degli istituti museali italiani svolge la propria attività potendo contare su una quantità esigua di personale. Circa l’80% degli istituti non ha più di 5 addetti e solo l’1,5% ne ha da 50 in su.  Un vuoto che non riescono a colmare i circa 16.400 collaboratori volontari dislocati in più del 60% degli enti. Un appeal, quello italiano, poco supportato da una adeguata pubblicità. I musei italiani continuano ad essere ancora poco presenti  nel web.  Solo la metà (50,7%) ha un proprio sito, il 42,3% pubblica online il calendario delle iniziative e degli eventi, il 22,6% diffonde una newsletter, il 16,3% permette l’accesso online a singoli beni selezionati e il 13,3% rende disponibile un catalogo online.

Macro elementi che è possibile osservare anche nella loro scomposizione. Così si ha conferma di un dato già variamente ipotizzato: la capacità espositiva di molti musei è inferiore a quella di custodia e conservazione. Cosicché, nonostante oltre tre quarti degli istituti (il 79,1%) dichiarino di avere aperto al pubblico, nel 2011, tutti gli spazi espositivi disponibili, i beni conservati sono molti di più di quelli esposti al pubblico. Sono meno della metà (il 42,9%) i musei che sostengono di esporre oltre il 90% dei beni conservati, mentre il 31,1% espone non più della metà delle collezioni che possiede.

Il dato che se ne evince è dunque che la capacità espositiva è tanto maggiore quanto si riduce il numero di beni posseduti. I musei dotati di un patrimonio scarsamente numeroso (fino a 50 beni) ne espongono il 94,5%, quelli che detengono da 51 a 100 beni invece il 90,2%, fino ad arrivare a quelli che dispongono di oltre 50.000 oggetti e ne espongono solamente il 6,4%. In relazione a questo aspetto va segnalata una scarsa dinamicità nell’esposizione degli oggetti. Con i musei d’arte moderna e contemporanea che sembrano quelli più propensi alla rotazione delle opere.

E’ pur vero che del vasto patrimonio di beni e collezioni disponibili solo una parte risulta puntualmente documentata, mentre un’altra, più cospicua, non è identificata e registrata e non è accessibile e fruibile. Va considerato che, se poco più della metà (51,2%) dei beni presenti nei musei italiani è stata inventariata, soltanto il 20,3% è stato anche catalogato e appena l’11,5% riprodotto in formato digitale. Nei musei con collezioni di piccole dimensioni (fino a 100 oggetti), le percentuali salgono rispettivamente al 79,9%, al 39,1%, e al 24,9%. In quelli di grandi dimensioni (oltre 50.000 beni) scendono invece al 48,0%, 18,0% e 9,1%.

C’è poi il tema dell’apertura al pubblico. In generale, copre un calendario piuttosto esteso. Nel 2011, il 64,7% dei musei, delle aree archeologiche e dei monumenti, è stato aperto ai visitatori tutto l’anno, il 12% in alcuni giorni della settimana, il 13% solo in alcuni mesi, il 4,8% solamente in occasioni particolari, il 13,9% esclusivamente su richiesta. Nonostante la riduzione degli investimenti e delle risorse finanziarie e umane, il 47,5% degli istituti è stato aperto anche di sera almeno una volta nel corso dell’anno. A questo riguardo gli esperimenti tentati nel corso dell’estate 2013 a Milano sono esemplificativi dell’appeal che gli spazi museali esercitano. Al quale hanno certo contribuito specifiche politiche di marketing che hanno determinato un incremento significativo in tutte le esposizioni cittadine rispetto alla stesso periodo dell’anno precedente. Dal +10% del Palazzo Reale al 30% della Triennale, passando per il 20% della Pinacoteca di Brera e il 15% del Museo Scienza e Tecnologia, del Museo Poldi Pezzoli e della Pinacoteca Ambrosiana. Un bilancio più che positivo, nel quale si colloca anche il boom di Ferragosto, senza dubbio agevolato dalla gratuità del biglietto. Tema questo dell’apertura al quale si ricollega quello relativo alla composizione e alle caratteristiche del pubblico. Che solo in minima parte è giovane e anziano. Con i ragazzi con età compresa tra i 18 e i 25 anni che rappresentano poco più di un quinto (21,1%) dei visitatori. Non diversamente da quello degli over 65 che arriva a rappresentare poco più di un quarto del totale (26,3%).

Molto più di un coup d’oeil quello dell’Istat. Ma quasi a sottolineare quanto sia indispensabile poter padroneggiare la situazione musei, all’inizio del 2013 è stato realizzato un altro studio. Una consultazione pubblica, “Il Museo che vorrei”, promossa dalla Direzione Generale per la valorizzazione del Patrimonio Culturale, attraverso la messa a disposizione di un questionario on-line dal 21 novembre 2012, per 15 giorni. Dunque una consultazione aperta a tutti. Con una serie di quesiti, numericamente più ridotti ed evidentemente meno specifici rispetto a quelli proposti dall’Istat. I risultati emersi, su poco più di 7mila questionari compilati, hanno evidenziato come i maggiori consumatori d’arte sarebbero le donne con il 60,07%.

Il rapporto qualità-prezzo offerto dai musei statali ha rivelato che il 75,96% degli italiani ritiene sia giusto pagare un biglietto di ingresso nei luoghi della cultura statali. Alla domanda “ritiene che il prezzo del biglietto sia mediamente adeguato a quanto è offerto in termini di proposta culturale?”, il 42,25% ha risposto in maniera affermativa, mentre un 56,92% ha risposto negativamente, denunciando una carenza nei nostri siti culturali di servizi come pannelli esplicativi, percorsi di visita, orari di visita che non consentono una fruizione abituale dei luoghi culturali. Quasi l'85% di quanti hanno compilato il questionario ha espresso la necessità di prolungare l'orario di visita fino alle 24 (44%), mentre la fascia dalle 16.00 alle 19.00 rimane la preferita con un 73% di consensi.

Elementi, sia quelli emersi dal report dell’Istat, che quelli desumibili dal questionario della Direzione Generale per la valorizzazione del Patrimonio, che delineano grandi potenzialità, evidenziando al contempo grandi limiti. Mancanze derivanti in gran parte da riconosciute risorse sempre più esigue. Che impediscono ai grandi spazi museali di rinnovarsi dotandosi di servizi più efficienti e più diversificati. Che precludono alla miriade di spazi di più piccole dimensioni non soltanto di crescere, ma perfino di sopravvivere.

Se i musei archeologici soffrono, quelli di arte contemporanea non attraversano una situazione migliore. Sono lontani i tempi di inaugurazioni fastose e finanziamenti a pioggia. Nel 2012 i 23 principali musei del contemporaneo hanno ricevuto contributi pubblici per un totale di 37 milioni di euro. In Francia solo il Centre Pompidou di Parigi ne ha incassati 68,7, cioè quasi il doppio di tutti gli italiani. In presenza di un quadro così critico è evidente che sia necessario rivedere strategie. Costruendo istituzioni flessibili, disposte alla “fusione” e all’ottimizzazione delle risorse.

I musei costituiscono pezzi importanti dei nostri territori, delle nostre città. Luoghi nei quali l’osservazione dell’Arte, nelle sue innumerevoli forme prodotte nel tempo, ha l’obbligo di diventare strumento di creazione. Sollecitazione inconsapevole di nuovi prodotti. Una sintesi tra la stanza segreta realizzata nel film di Tornatore e i portici del Templum Pacis. L’Italia incerta di questi anni, le molte città “sbagliate” che le punteggiano, non possono non comprendere spazi museali rappresentativi delle diverse realtà. Ma anche attrattivi. Non più isole sperdute e spesso abbandonate, ma parti indispensabili di luoghi senza differenze.