Ieri mattina, andando al lavoro, ricevo da un amico una brutta notizia: Alberto Musy è morto.

Dopo 19 mesi di coma profondo, Alberto se ne è andato, lasciando la moglie e le quattro figlie: di 13, 11, 9 e 3 anni. Questa frase è ripetuta, usando più o meno le stessa sequenza di parole e numeri, su tutti i giornali che scorro durante la mattinata, così come nei tg del pomeriggio. Nulla è così efficacemente doloroso come la crudezza "statistica" di queste cifre, che da sola esprime il senso dell’enorme ingiustizia fatta a questa famiglia. Il mio pensiero, oggi come quella mattina del 22 marzo 2012, il giorno dell’agguato, va ad Angelica e alle sue bambine. Una donna straordinaria, che ha affrontato con coraggio e dignità una prova tremenda.

Il resto degli articoli scivola via: chi parla del processo, chi riporta le dichiarazioni dei rappresentanti istituzionali. Alberto viene ovunque ricordato come “un uomo mite”, una persona apprezzata da tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui. Vero, verissimo. Eppure nulla riesce a restituirmi il senso di chi fosse davvero Alberto. Forse perché era una persona talmente ricca, umanamente parlando, che è difficile fotografarla nelle poche righe di un articolo.

E forse, proprio per questo, per chi come me ha avuto la fortuna di conoscerlo è ancora più arduo tracciarne un breve ritratto. Ma sento il bisogno di provare a far comprendere a chi legge che il lutto non è solo della famiglia o degli amici. Che questa città, Torino, e questo paese hanno perso una persona veramente rara.

Ho conosciuto Alberto prima come docente, poi come candidato sindaco. La prima impressione era stata quella di un uomo entusiasta, di un trascinatore. Una persona semplice e schietta nei modi, sagace e acuta nell’analisi. Di una cultura profonda e in continuo aggiornamento: una volta sentii Angelica dire che si era portato uno dei suoi libri persino in sala parto.

Avvocato, politico e professore, dunque. Ma penso che fosse quest’ultimo il ruolo che amava di più. Alberto non cessava mai di essere docente, nel senso migliore del termine. Per lui la cultura raggiungeva il momento più alto quando poteva essere trasmessa. Sempre in un’ottica costruttiva, mai autoreferenziale.

Da una parte la sua passione per le idee, dall'altra il suo bisogno di “dare senso” a quanto si dice e si pensa, Alberto è stato "naturalmente" spinto verso la politica. E le ha restituito un’accezione antica, di servizio. Più volte ho sentito Alberto dire che voleva “restituire quanto aveva ricevuto”, attraverso quest’attività. E i sacrifici, familiari e lavorativi, che stava affrontando non erano certo di poco conto.

Sembrava, e lo era, un’impresa impossibile, quella di candidarsi alla carica di Sindaco di Torino al di fuori dei due poli e soprattutto contro il PD. Ma Alberto vi si era comunque buttato a capofitto, con tutto se stesso, riuscendo a trascinare persone molto diverse tra loro, a volte riottose o litigiose, con infinita pazienza. Non voglio però descriverlo come un’anima bella, o peggio, come un ingenuo. Né come una di quelle persone che hanno vissuto tanto tempo all’estero e poi tornano qui, pensando di applicare la lezioncina, scordandosi la complessità della realtà. Alberto non faceva il superiore, ascoltava tutti, partendo dal presupposto che se un’idea è buona, si può portare avanti anche con compagni di viaggio dalle vedute discordanti. La sua attività di consigliere lo ha dimostrato. Sui principi, però, non transigeva. Mai. Un uomo moderno, ma sorretto da convinzioni liberali classiche, come la tutela della libertà e il rispetto delle regole.

Rileggo le mie parole, e non sono soddisfatta: continuano a sembrarmi vuote e inadeguate in confronto all’Alberto che ho conosciuto. E allora guardo questa foto, che lo racconta meglio di me. Un sorriso tranquillo, aperto, lo sguardo fiducioso e al contempo vivace. Quanto sarebbe ingiusto ricordarlo in modo diverso.

alberto musy