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Quasi tutte le analisi del salvinismo hanno sino ad oggi privilegiato "l'offerta" piuttosto che "la domanda": è stata appunto analizzata la narrazione nazionalpopulista, con le sue semplificazioni cattiviste e "italianiste" e la retorica della sacralità dei confini, il crocifisso e il rosario degradati a talismani e più generalmente la religione usata quale istrumentum regni, l'esibizione del cibo-spazzatura quale certificazione di autenticità popolana, l'approccio anti-istituzionalista al Viminale (le interviste a torso nudo, il turpiloquio), il perbenismo proibizionista con la cannabis light e il permissivismo con l'alcol dopo le tre, la bulimia social, le dirette Facebook e i decreti-spot come surrogati di una concreta attività di governo, lo "sceriffismo" privato come deterrente, l'antieuropeismo ormai sbiadito, la demonizzazione a fini elettoralistici di un sistema previdenziale sostenibile, il "liberismo da hard discount" della flat tax e della curva di Laffer, l'ostilità al dissenso concretizzatasi nella riduzione di parte della Digos e perfino, una tantum, dei pompieri a guardie pretoriane del sovranisticamente corretto e via dicendo.

Tutto questo, ma anche il suo contrario – le giravolte di Salvini, le più clamorose delle quali lo vedono ieri "celtico" e secessionista oggi cattolico e italianista, sono ormai proverbiali – all'interno dell'unico vero dogma cui il "Capitano" è fedele, cioè l'occasionalismo, la prontezza a sposare la causa di volta in volta più popolare e attuale.

Ma ci si è concentrati poco, si diceva, sulla "domanda", e cioè sui salviniani, sia quelli della prima ora sia quelli fidelizzati durante l'inesorabile upgrade della Lega – a spese dei pentastellati – da azionista di minoranza ad azionista di maggioranza dell'esecutivo. Questo approccio "top-down" alle vicende del mercato politico-elettorale sovrastima il ruolo e l'efficacia della propaganda, e dunque il potere persuasivo del leader, e sottostima il ruolo degli elettori, deresponsabilizzati e dunque "assolti".

I media ovviamente hanno un'enorme responsabilità nel fenomeno dell'ingigantimento delle forze nazionalpopuliste – le reti generaliste hanno per anni vellicato i più bassi umori dei telespettatori/elettori – e i social network nello specifico, specie nella fase (oggi volgente al termine?) di assoluta anarchia nell'ambito della raccolta e dell'utilizzo di big data e della produzione industriale e diffusione di fake news, hanno determinato la radicalizzazione degli utenti meno dotati di strumenti critici per il "filtraggio" e l'elaborazione dell'enorme mole di dati che transita sui loro smartphone, secondo i perversi meccanismi del micro-targeting.

Su tutto questo non v'è alcun dubbio. Ma la correlazione tra sconsideratezza dei media tradizionali e "anarchia digitale" da un lato e successo di Grillo prima e di Salvini poi dall'altro non va assolutizzata quale esclusivo e decisivo nesso di causalità: sarebbe del banalissimo semplicismo deterministico che tuttavia, pur essendo appunto così banale oltreché infondato in termini squisitamente empirici, oggi è fatto proprio da non pochi analisti.

Adottando questo approccio, come si diceva, si deresponsabilizzerebbero, assieme alle opposizioni (balcanizzate e in parte persino "collaborazioniste" alla sinistra dell'asse nazionalpopulista, senescenti e caricaturali – caricaturale è, obbiettivamente, FdI – alla sua destra), anche la quasi totalità degli elettori, che al netto di un'immancabile coefficiente di manipolabilità non sono comunque tutti intellettualmente ipodotati e in una condizione di totale passività al cospetto del primo agit-prop che passa.

La destra "cattivismo & food blogging" non esiste solo perché offerta da Salvini, ma anche perché richiesta dalla sua constituency. Come il fascismo, sia detto senza allarmismi di sorta, anche il salvinismo è una forma di massimalismo da strapaese, il prodotto della radicalizzazione dei ceti medi. Un'analisi del salvinismo non può dunque prescindere da un'indagine di natura psico-politica: gli elettori esigono anzitutto che i loro più bassi umori vengano appagati, assecondati, se non perfino istituzionalizzati, qualunque altra cosa attinente al piano "extra-emotivo" della concretezza e del lungo termine passa in secondo piano.  

Il protezionismo, tipico delle destre salviniane e simil-salviniane, è in tal senso paradigmatico: assai appagante sul piano simbolico – si tratta della "fiscalizzazione" della superiorità dei prodotti nazionali – si rivela disastroso sul piano più prosaicamente materiale. 
Siamo di fronte all'irrazionalismo e all'"emotivismo" come scelta consapevole e… razionale.

Così, se con la messinscena del braccio di ferro con Carola Rackete – ennesimo surrogato sensazionalistico dell'adozione di un dettagliato e fattibile programma di politica migratoria – il "Capitano" ha lucrato consenso anziché esser liquidato dai più quale politicante di serie B fanfarone e incapace, significa che i suoi fedeli si sentono politicamente appagati standosene d'avanti alla tv con la bava alla bocca a invocare le manette (totem della destra grillo-leghista) per la "zecca" di turno. Si tratta di una specie di "auto-homersimpsonizzazione" dell'elettorato…

Un domani, si spera il più presto possibile, il portafogli e la razionalità riprenderanno il posto delle "viscere" nel mercato politico-partitico: sino ad allora Salvini e salviniani (intesi come "leader ed elettori populisti tipo") la faranno da padrone