putin grande

Dopo l’11 settembre del 2001 l’Occidente si è dolorosamente svegliato dal sonno dogmatico e dalla fiducia stolidamente storicista nell’ordine del mondo sancito dal crollo del Muro. Il terrorismo islamico si presentava come una sfida esistenziale al modello occidentale e quasi subito numerosi intellettuali (in Italia, su tutti, Oriana Fallaci), ravvisarono nell’atipico imperialismo della umma islamista un progetto di dominio politico e religioso.

Quella islamista però non era e non poteva però diventare, per le sue stesse caratteristiche, una sfida identitaria, né un vero programma di conquista. Per quanti morti avessero saputo mietere, per quanto sangue avessero potuto versare e per quante teste di ponte fossero riusciti a reclutare tra gli immigrati di prima e seconda generazione (pochissimi, alla fine dei conti, e tendenzialmente ripescati da carriere criminali di scarso lignaggio e da vite miserabili e perse tra droga e emarginazione) gli islamisti non avrebbero mai potuto occupare e convertire – con le buone e con le cattive – l’Occidente e gli occidentali.

Neppure l’Europa, che era la frontiera più prossima e fragile dell’espansionismo islamista, avrebbe mai potuto capitolare in un destino, pure luttuosamente vaticinato, di sottomissione. Le forze regolari e irregolari e l’apparato ideologico della Jihād non potevano assicurare né trionfo, né contagio. La bandiera nera del Califfo non avrebbe mai potuto essere innalzata sulla Cupola di San Pietro, né sarebbe riuscita a islamizzare il mondo cristiano, trasmutandone i codici culturali fino a ridurlo a un clone della religione del Profeta (peraltro allineandola alla lettura ferocemente “anti-culturale” degli islamisti fai-da-te).

Comprensibilmente spaventata dalla violenza e dalla spavalderia dei nemici, vasta parte dell’opinione pubblica occidentale – europea, ma anche americana – ha temuto che essi mettessero a rischio la nostra identità e la nostra libertà, mentre mettevano (e forse torneranno a mettere) in pericolo solo la nostra vita e la nostra sicurezza.

Lì – esattamente in quel punto – ci siamo “persi”.

La minaccia islamista, in un’economia globale segnata da imponenti fenomeni migratori e da repentini e traumatici riequilibri dei rapporti di forza tra le diverse aree del mondo, ci ha fatto impazzire fino a farci percepire ribaltato il rapporto tra la nostra identità e le minacce ad essa, fino a convertirci alla persuasione – che è diffusa in Occidente come non mai dai primordi dell’era contemporanea – che siano i nostri valori la nostra debolezza e la forza “universale” del nostro modello la causa della nostra sciagura. L’Occidente è in pericolo perché è troppo occidentale, tollerante, garantista, rispettoso dei diritti e delle libertà individuali, irenicamente pluralista…

Lì – esattamente nel momento e per le ragioni per cui ci siamo “persi” – è arrivato Putin.

un oscuro ufficiale del KGB uscito vincitore dagli intrighi delle mafie politiche ed economiche della Russia post-eltsiniana è diventato un’alternativa credibile alla debolezza e un guaritore dell'anima occidentale. Putin non è solo il gestore della più spaventosa e scientifica macchina di avvelenamento cognitivo dell’era contemporanea. Putin purtroppo siamo anche “noi”, per ragioni pure indipendenti dagli effetti del suo polonio digitale, dei suoi bot, dei miliardi spesi in corruzione politica e giornalistica, del suo modo di comprare o remunerare i collaboratori, che siano killer o famigli politici. Putin non è solo la psicosi di cui siamo vittime le vittime, è anche lo spirito maligno uscito dal buco nero di un mondo psicologicamente impaurito e culturalmente alienato. Non solo un “uomo forte”, ma un uomo con un’idea della “forza politica” più adeguata alle sfide presenti.

Putin è l’odio di sé dell’Occidente e dell’Europa. Putin è il lupus politico, una malattia autoimmune del corpo e dello spirito occidentale, che aggredisce e rigetta se stesso. Il consenso per il Presidente russo è esattamente il rinnegamento dell’identità, che temevamo (sbagliando) di essere costretti a rendere agli islamisti, per avere salva la vita. Con Putin e in Putin milioni di italiani e di europei ripudiano le proprie origini e rescindono le proprie radici politiche. Divisione dei poteri, garanzie costituzionali, libertà di opinione, libertà sessuale, libero mercato…Tutto da buttare. Tutto “male”.

Quando Putin ci spiega che la democrazia liberale è superata dà voce a una sfida politico-culturale in parte già vinta, come dimostra l’irresistibile successo di pubblico e di critica che riscuote nel cuore dell’Occidente e dell’Europa proprio la sua figura e il suo irridente disprezzo della democrazia liberale e dello stato di diritto. Putin che si è affermato dentro e fuori i confini della Patria come sterminatore della resistenza militare e della popolazione civile in Cecenia - poi offerta in dote a un islamista di corte, Kadyrov, che ne ha fatto un inferno para-saudita, sharia compresa – si è insinuato in questa crepa che terrorismo, immigrazione e globalizzazione avevano aperto nel cuore dell’identità e dell’anima occidentale, pervertendola al punto da presentarsene oggi come una sorta di paternalistico tutore, un po’ ecologo morale, un po’ paladino militare, perfino riformatore economico, dal centro di un paese sterminato e deserto che continua, dalla fine della Guerra Fredda, a vivere, neppure troppo bene, quasi esclusivamente della rendita energetica.

Il fatto che il suo successo dilaghi nei paesi e tra i settori più fragili dell’Europa di oggi non lo rende più evanescente, ma più esplosivo. Putin non è solo un autoconvocato protettore, ma un possibile vendicatore delle "nostre" debolezze. La sua egemonia militare non è neppure più bilanciata in Europa, visto il ripiegamento statunitense e il nichilismo anti-europeo di Trump, il più famoso utilizzatore finale della macchina di verità alternative del Cremlino. Ma la sua egemonia culturale è ancora più spaventosa, soprattutto in Italia, dove è nei fatti quasi totalitaria. C’è un Occidente, che l’Italia rappresenta in modo emblematico, che non si piega a Putin, ma che si arruola entusiasta nella sua guerra. Bastava assistere ieri allo spettacolo ripugnante di una Roma inginocchiara ai suoi piedi, militarizzata e trasformata in una scenografia del suo chilometrico corteo imperiale. Del resto l'Italia, nel peggio, fa sempre caso a sè. La capitolazione morale a Putin è letteralmente totale e condita da una dose di servilismo politico ripugnante, da "sudditi felici".

Quelli che temevano una democrazia con il burka afghano, oggi si compiacciono della mordacchia e dei deliri dell’ideologia euroasiatica e di reggere lo strascico dello Zar di tutte le frustrazioni russe e di tutte le paure occidentali.

@carmelopalma